Protesto

giovedì 14 Maggio 2020

Dei tanti pomeriggi che ho passato in casa, nella mia vita di ragazzo, molti me li son dimenticati, uno no.
Era un dopo mangiato che gli altri dormivano, io ero sveglio, non avevo niente da leggere e ho preso l’antologia di mio fratello, che faceva, secondo me, la prima superiore, e l’ho sfogliata e son capitato in un teatro di Mosca dove c’era un uomo con una giacchetta a quadri, un gatto grande come un ippopotamo (che si dice in russo, me lo ricordo da allora, бегемот – begemót) e i moscoviti che, eran passati dei secoli, eran sempre gli stessi.
Non avevo mai sentito parlare, prima di allora, di quello scrittore, era un certo Michail Afanasevič Bulgakov, nato a Kiev nel 1891, morto a Mosca nel 1940.
E il giorno dopo sono andato a cercare il romanzo e l’ho letto subito e ho visto che quel Begemòt, a un certo punto, con un suo collega che si chiamava Korov’ev, voleva entrare all’Unione degli scrittori, e una signora li aveva fermati all’entrata e aveva chiesto se eran scrittori, e loro avevan detto di sì, e lei aveva chiesto la tessera, e Korov’ev aveva detto che, secondo lui, Dostoevskij di tessere non ne aveva ma di sicuro era uno scrittore. E la signora aveva detto «Lei non è Dostoevskij», e Korov’ev aveva chiesto «E come fa a saperlo?», e la signora aveva detto «Dostoevskij è morto», e Begemòt aveva riposto «Protesto! Dostoevskij è immortale».

[Domani, sul Venerdì di Repubblica, parlo del Maestro e Margherita di Michail Bulgakov]