Proprio bisogno di un po’ di disordine
E mi è venuto da pensare che Biancaneve senza i nani c’è anche dentro un mio libro, 13 favole belle e una brutta, che è uscito nel 2012:
Una volta ero lì, a Casalecchio di Reno, che bevevo un succo di frutta, e prendevo il sole, nel parco che c’è dietro casa mia, e mi riposavo, che ero anche un po’ stanco, in un giardinetto, lì, che c’erano dei signori, e delle signore, un po’ anziani, era una specie di centro anziani, quello dove ero lì a riposarmi, c’era anche un chisco che vendeva i succhi di frutta, e delle altre bibite, a un certo punto, uno di questi signori, un signore con i capelli bianchi, e un cappello blu da marinaio, e un maglione azzurro, e gli occhi azzurri quasi come il maglione, viene da me e mi dice «Buongiorno».
«Buongiorno», gli dico io.
Aveva in mano una bottiglia di tè deteinato. Chiusa.
«Non sta mica bene?» mi chiede lui.
Io lo guardo: «No, no, sto bene, gli dico. Sono solo un po’ stanco».
«Eh, – mi dice lui, – non lo dica a me, io sono stanchissimo, io son così stanco che se potessi mi butterei per terra a dormire qua».
Io ho guardato per terra, c’era tutto pieno di foglie, un po’ di fango, anche, eravamo in ottobre, già, chissà l’umidità, se dormiva per terra, che idea, dormire per terra, e poi, quel signore lì, a guardarlo, non sembrava stanco, aveva una cosa, negli occhi, come se fosse anzi un po’ agitato, secondo me se andava a letto non riusciva a dormire, “Forse per quello, – ho pensato, – prende il tè deteinato”, e avrei voluto dirgli di non dormire per terra perché altrimenti prendeva dell’umidità e che in fondo, poi, a guardarlo, non sembrava così stanco e gli avrei detto così, se fossimo stati in confidenza solo che, non lo conoscevo, non sapevo cosa dire, ero anche un po’ imbarazzato allora ho fatto una cosa che faccio ogni tanto quando non so cosa dire l’ho guardato negli occhi gli ho detto «Eh».
«Sì, – mi ha detto lui, – guardi, non me ne parli».
Io, a quel punto lì, ancora, cosa potevo fare, l’ho guardato un altro po’ negli occhi gli ho detto ancora: «Eh».
«Sì, m’ha detto lui», poi mi ha guardato anche lui, aveva il mento un po’ lungo, quel mento, non so come dire, un po’ lungo, che uno si immagina che quando piove gli piove un po’ in bocca, «Scusi, – mi ha detto, – adesso io son stanco e ho i miei motivi per essere stanco, ma lei, come mai è stanco?».
Ecco.
Adesso lì, io avrei voluto guardarlo negli occhi rispondergli «Eh», solo che lì, secondo me non bastava, allora ho un fatto un sospiro, mi sono passato una mano sopra la faccia, mi son messo a pensare a come mai ero stanco, ho pensato che, in quei giorni, io avevo appena scritto tre o quattro favole una dopo l’altra allora per quello, forse, ero stanco, e ho fatto proprio così, l’ho guardato negli occhi gli ho detto «Eh, ho appena scritto tre o quattro favole una dietro l’altra si vede che ne ho scritte troppe».
«Eh, – mi ha detto lui, – non lo dica a me, io ne ho appena scritte trecento o quattrocento sono stanchissimo son così stanco che se potessi mi butterei qua per terra a dormire qua».
«Be’, – mi è scappato detto a me, – trecento o quattrocento, addirittura.
«Non ci crede?» mi ha detto lui.
«Ma, – gli ho detto io, – no, no, cioè, non lo so, mi sembran tantissime».
«Sì, – mi ha detto lui, – guardi, non me ne parli, io ho tutte queste favole che mi vengono fuori una dopo l’altra, non so cosa fare, ma sono belle, sa, solo che sono troppe, io un giorno feriale, – mi ha detto, – mediamente, io son capace che mi vengono fuori centossessantatre centossessantaquatrro favole al giorno, non parliamo poi del sabato e della domenica, il sabato e la domenica è festa una volta sono arrivato anche a milleduecentoquaranta»
«Eee, – gli ho detto io, – addrittura».
«Non ci crede? – mi ha detto lui, – Facciamo una prova? Guardi, – mi ha detto, e s’è messo a tossire, – ha visto?» mi ha detto.
«Cos’ho visto?».
Lui ha tossito ancora ha detto ancora «Ha visto?».
Io mi son guardato intorno non c’era niente, «Cos’ho visto?», gli ho detto.
«Ah, – mi ha detto lui, – ma lei, ma lei… scusi, – mi ha detto poi dopo, – ma lei non scrive delle favole?».
«Eh, – gli ho detto io, – sì, scrivo delle favole».
«E le scrive senza tossire?».
«Eh, – gli ho detto io, sì, – le scrivo senza tossire»
«Ma pensa, – mi ha detto lui. – Chissà che favole strane che scrive».
Che, lì, lo so che non dovevo, ma mi è un po’ venuto il nervoso, a sentire che secondo lui scrivevo delle favole strane, «Perché, – gli ho detto, – le sue invece sono normali?».
«Le mie?», ha detto lui, e poi ha tossito. Una tosse secca, cattiva.
«Sì, – ha detto poi dopo aver tossito, – sono normali. Cioè, – ha detto – dipende, alcune normali alcune mica tanto normali, ha detto, e poi ha tossito ancora sempre quella tosse secca che è andato avanti tanto, questa volta, sembrava che non dovesse più smettere invece poi ha smesso e come ha smesso mi ha detto: «Ecco, son pronto, la vuole sentire?».
«Che cosa?» gli ho detto io.
«Una delle mie favole» mi ha detto lui.
«Certo, – gli ho detto io, – che la voglio sentire».
«Una volta, – mi ha detto lui, – tanto tanto tempo fa, ma tanto, eh?, forse mille anni fa, c’era una bambina, che era figlia di un carbonaio, un signore molto povero, e della moglie del carbonaio, che era una signora buonissima che stava benissimo.
Questa bambina, che si chiamava Neraneve, non era tanto buona, c’è da dire, e quando ha avuto, quanti anni avrà avuto, sedici anni, è scappata di casa.
I suoi genitori erano molto preoccupati e hanno mandato a cercarla un loro amico, che di mestiere faceva il vegetariano, solo che Neraneve se n’è accorta, che il vegetariano la seguiva, e allora è scappata nel fitto del bosco e cammina cammina, in mezzo agli animali, alle piante, a un bel momento, nel bel mezzo del bosco, in una specie di radura, si è imbattuta in una casetta molto signorile, una specie di villetta a schiera, con dei gerani alle finestre, molto pulita, molto ordinata, ed è entrata, c’era una tavola, con sette seggiole, e sette stanze da letto, e sette bagni, e sette… non so cosa, e lei, Neraneve, era così stanca, che s’è buttata per terra, sopra un tappeto, s’è messa a dormire.
Era la casa, devi sapere, dei sette giganti, che erano sette giocatori di pallacanestro che si chiamavano Dottone, Gongolone, Eolone, Cucciolone, Brontolone, Mammolone e Pisolone.
In quel momento lì, i sette giganti erano in palestra, a lavorare, solo che dopo poi di sera eran tornati avevan trovato Neraneve che dormiva sul tappeto l’avevan svegliata le avevano chiesto che cosa faceva lì, e Neraneve aveva detto che era scappata di casa se la potevan tenere con loro che la loro casa a lei le piaceva moltissimo che, se loro le permettevan di restare, lei gliela metteva un po’ in disordine, e loro ci avevan pensato un po’ e poi avevano detto “Massì, abbiam proprio bisogno di un po’ di disordine”.
E dopo allora erano andati avanti così per un po’, che loro andavano a giocare a pallacanestro e Neraneve restava a casa in pigiama a fumare e a mangiare delle merendine, delle girelle, dei buondì, delle cose così, mangiava un sacco di yogurt, una volta era passata una vecchia, da quelle parti, Neraneve le aveva offerto uno yogurt, solo che lo yogurt era scaduto la vecchia era stata male era morta, allora Neraneve l’aveva seppellita nell’orto che aveva paura che qualcuno le desse la colpa che non era sicura, che era stata male per lo yogurt, che secondo lei era stata male così, perché era vecchia, che va be’ che lo yogurt era scaduto, però morire, per uno yogurt scaduto, le sembrava un po’ troppo, però non si sa mai, l’aveva seppellita sul retro della casa e poi una volta, una mattina, Neraneve davanti a casa aveva visto un principe morto, dentro una tomba di cristallo, l’aveva baciato il principe era risuscitato le aveva detto “Che bello, sposiamoci, che diventi la mia regina e viviamo tutti felici e contenti!”, e Neraneve ci aveva pensato poi aveva detto “Sai cosa? Io preferisco star qui a mangiar degli yogurt”, e così finisce la favola, ti piace?», mi aveva detto il vecchio.
E io l’avevo guardato, avevo scosso la testa avevo detto «Eh».
[Da Tredici favole belle e una brutta, Rizzoli, illustrazione di Yocci]