Presente
Dopo, quella sera lì, a Santarcangelo, sopra un muro, c’era una peosia di Nino Pedretti, la seconda poesia che leggevo per strada nel mese di luglio, si chiamava Il mio babbo, che era una cosa, già, il mio babbo, la mia mamma, non era come dire Mio babbo, o Mio padre, o Mia madre, era Il mio babbo, e faceva così:
Il mio babbo
Il mio babbo che mi ha svergognato,
che ha perso tutte le battaglie,
il mio babbo che era bugiardo,
il mio babbo che bestemmiava i santi
e poi si metteva in ginocchio
davanti le madonnine,
il mio babbo che era bello,
e si guardava nello specchio,
il mio babbo che era povero,
che era ambizioso, che cantava,
il mio babbo che non mi ha insegnato niente,
il mio babbo che lo fregavan tutti,
il mio babbo che non sapeva il latino,
e poco anche l’italiano,
che dall’America è tornato
con un penny e tre parole d’inglese,
il mio babbo che voleva «commendatore»
scritto sopra la busta,
il mio babbo, fra i babbi il più sgangherato,
ha scritto dentro di me
tutte le mie poesie.
[Da Presente, esce l’8 maggio]