Povero Piero

giovedì 18 Luglio 2013

manuale di conversazione, campanile

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

«Vado a Pavia, signore» mi disse a bassa voce il viaggiatore taciturno, mentre il treno filava nella notte attraverso la campagna addormentata.
Sotto la luce vivida della lampada blu, che faceva un poco spettrali i loro visi inclinati su un omero o volti verso l’alto, i compagni di scompartimento dormivano, con le bocche aperte nel sonno, taluno come se non respirasse.
«Per affari?» bisbigliai.
«Per completare le mie ricerche sul povero Piero.»
«Un suo parente?»
«No.»
«Amico?»
«Nemmeno.»
«Conoscente?»
«Neanche.»
«Ho capito. Un personaggio storico.»
«Ohibò.»
«E chi è?»
«Non so dirglielo. Non so quasi nulla di lui. Appunto per questo vado a Pavia.»
La cosa si presentava sotto i segni della stranezza. Fuori continuava a piovere sulla campagna allagata.
«Volentieri,» dissi «udrei qualche particolare su questa storia, che mi pare piuttosto curiosa.»
«Molto,» disse il viaggiatore taciturno «molto.»
Si guardò intorno e, visto che gli altri continuavano a dormire, cominciò il racconto abbassando ancora la voce.
«La prima notizia» disse «che ebbi del povero Piero fu ch’egli perì a Pavia. Quanto stentai a decifrare questa notizia! La trovai molti anni fa nel mio primo libro di lettura, un sillabario, dove, nella pagina della “p”, era detto testualmente: “Povero Piero, perì a Pavia”. Nella pagina seguente, ancor essa destinata alla “p”, si leggeva che Piero potava i pomi. C’era anche una vignetta raffigurante un uomo, evidentemente Piero in persona, che, in abito di contadino, in cima a una scala, tagliava i rami d’un albero che ritengo fosse una pianta di pomi.»
Il viaggiatore taciturno riprese fiato. Il suo racconto m’interessava enormemente. Per qualche minuto s’udì, nel fragor del convoglio, il ticchettio della pioggia sui vetri del finestrino.

[Achille Campanile, Manuale di conversazione, Milano, Rizzoli 2012, pp. 109-110]