Povera Italia

giovedì 18 Giugno 2009

E quella sera, tornato a casa, dopo essermi tolto le scarpe, e dopo aver visto che avevo le calze bucate, sia la destra che la sinistra, avevo pensato che era normale, che le calze si consumano come le pastiglie dei freni. E a guardar la mia casa, quei pacchetti di fazzoletti di carta buttati sul tavolo, quei tappi di plastica di bottiglie d’acqua minerale, un canestrino da due litri di Stiro super, purissimo e profumato per ferri da stiro, in acqua speciale osmotizzata, ideale per assolvere i compiti comuni alle altre acque, ma garantendo in tutti i casi la massima igiene, leggerezza e sicurezza, e dietro un cassetto che era stato spalancato, aperto in sbando, diceva mia nonna, tutto il giorno, e tre scarpe che c’erano lì sotto il tavolo, e sotto la punta di una una penna arancione, e sopra il tavolo i libri con dentro dei segnalibro che stavano lì da due settimane, e il piattino, in angolo, con i colori mischiati, che quel frammento minuscolo della mia casa non sembrava neanche della mia casa, sembrava della casa di Kandinskij, e sotto il tavolo una confezione di erba per gatto che si chiamava Extragatto, più gialla che verde, tutta seccata, e uno strofinaccio, un borasso, diceva mia nonna, buttato sopra la seduta bianca della sedia di legno, e una maglietta grigia che avevo appena comprato e che non mi ero mai messo perché mi sembrava fosse troppo da giovane appoggiata sullo schienale, e sopra il divano due zaini e un paio di braghe corte che non mi mettevo quasi mai ma, non so perché, mi portavo dietro da venticinque anni in tutti i miei successivi traslochi, queste cose, a me, a guardarle tutte una dopo l’altra, mi davano un po’ di tranquillità, mi dicevano che le cose che mi facevan paura potevan star fuori. Un po’ di malessere, per cortesia.