Pietroburgo bloccata

martedì 1 Marzo 2016

Sklovskij, La mossa del cavallo

Quell’inverno gelarono quasi tutti i gabinetti. Fu peggio della fame.
Prima ancora era gelata l’acqua. Nel Talmud c’è scritto che quando l’acqua non basta per dissetarsi e per completare i lavacri, è meglio non bere ma lavarsi. Noi non ci lavavamo. Gelavano i cessi. Come avvenne, lo dirà la storia. Il blocco e la rivoluzione distrussero i trasporti e la legna venne a mancare. L’acqua gelò.
Tutti noi, quasi tutta Pietroburgo, portavamo l’acqua e l’immondizia su e giù con i secchi ogni giorno. Com’è difficile vivere senza gabinetto. Un amico mio, professore, mi diceva affranto mentre percorrevamo una strada insieme, intirizziti: «Sai, invidio i cani, quelli almeno non si vergognano». La città si ricoprì di escrementi: i coltili, i portoni, per poco anche i tetti, ne erano pieni.
La visione era ributtante, a volte addirittura oscena. C’era molta spudoratezza: qualcuno faceva sfoggio di feci.
La gente orinò molto, quell’anno, spudoratamente, più spudoratamente di quanto io possa scrivere: in pieno giorno sulla prospettiva Nevskij; ovunque. Orinavano senza sfilarsi i tiranti delle slitte, senza togliersi il giogo, senza lasciare la presa delle corda degli slittini.
V’era in questo un che di sconvolto e di disperato. Per vivere occorre battersi, battersi ogni giorno, far la coda per un grado di calore, lasciarsi corrodere le mani nella cenere per la pulizia.
Poi la città venne invasa dai pidocchi. L’angoscia genera i pidocchi.

[Viktor Šklovskij, La mossa del cavallo, traduzione di Maria Olsoufieva, Bari, De Donato 1967, pp. 19-20]