Philip Baumberg

sabato 28 Giugno 2014

J. Rodolfo Wilcock, La sinagoga degli iconoclasti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel 1874, nei pressi di Wanganui nella Nuova Zelanda settentrionale, Philip Baumberg nativo di Cork in Irlanda fece funzionare per la prima volta la sua pompa a cani o dog-pump. Il congegno, se così lo si può chiamare, sfruttava il fatto scientificamente dimostrato che un cane bene educato, se lo si chiama, viene. Baumberg si serviva di una trentina di cani da lavoro, pastori e simili, e di due manovali salariati, indigeni, il cui numero andò poi aumentando progressivamente.
Il primo manovale era piazzato in basso, con un secchio, presso un ruscello di acqua potabile; il secondo era in cima al colle, accanto a un canalone di lamiera che con lieve pendenza conduceva l’acqua verso una cisterna attigua alla abitazione di Baumberg. Ogni cane portava appeso al collo un bidone che veniva riempito dell’indigeno in basso: poi quello in alto chiamava il cane, e quando questo era arrivato su, l’uomo versava l’acqua del bidone nel canalone della cisterna; subito dopo l’altro indigeno chiamava il cane giù e ripeteva l’operazione.
Con trenta cani in moto l’effetto era particolarmente vivace. Per evitare i frequenti sbagli provocati dall’impossibilità di ricordare tutti e trenta i nomi delle bestie, sbagli che si ripercuotevano sfavorevolmente sull’andamento del lavoro – talvolta un cane richiamato troppo presto se ne tornava giù con il bidone ancora pieno – Baumberg decise di separare i compiti, così che i maori erano adesso diventati quattro: due addetti al travaso e due alla chiamata. Per impedire poi che i cani si fermassero a metà costa, o se ne andassero per i fatti loro, dovette ancora aggiungere due sorveglianti lungo il pendio.
Altri due indigeni furono addetti al ricambio dei cani, dato che questi normalmente, per la loro particolare natura e costituzione, non possono lavorare più di un’ora di seguito. Di conseguenza i cani ingaggiati presso la pompa erano in realtà quasi novanta, il che complicava talmente la memorizzazione dei nomi che altri due maori vennero aggregati come ausiliari e assistenti di chiamata. Quattro altri indigeni curavano che i cani non si azzannassero tra di loro, né si abbandonassero a indecenze, ma soprattutto che non scappassero via con i bidoni, altamente apprezzati allora come oggi delle popolazioni dell’interno.
Non sfuggiva al Baumberg l’ovvia constatazione che quattordici persone preposte direttamente al trasporto di bidoni o secchi, invece che alla sorveglianza o al governo delle bestie, avrebbero reso cento volte più acqua che trenta cani, scodinzolanti e capricciosi (spesso si sedevano per grattarsi, facevano il morto, e i più furbi e più anziani fingevano abilmente dolori alle zampe, svenimenti, capogiri, in special modo le femmine). Ma meditate considerazioni umanitarie di carattere evangelico, abbastanza spiegabili in un ebreo irlandese in stretto contatto con le sparute ma prepotenti missioni cattoliche dell’isola, lo inducevano non solo a preferire il lavoro animale, ma anche a descriverne minuziosamente i vantaggi, come può leggersi nella sua raminga e solitaria dissertazione Dog as Worker, His Preminence over Ass, Ox and Man (Il cane come animale: la sua preminenza sull’asino, il bue e l’uomo) stampata a Sidney, Australia, nel 1876.
Poiché né a Auckland né in altro punto delle isole esisteva allora un regolare Ufficio Brevetti, e nemmeno l’Australia, in buona parte ancora popolata da figli e nipoti di ergastolani, offriva in questo senso particolari garanzie, Baumberg dovette aspettare un suo viaggio a Londra nel 1884 per brevettare la sua pompa a cani; dalla cui invenzione e messa a punto non trasse tuttavia che scherno e oblio. Soltanto il Brewater ne parla, nella sua esauriente storia delle forme di lavoro: Dalle piramidi al controllo adattativo con calcolatore on line (primo volume della Enciclopedia del sindacalista, Bari, 1969).

[J. Rodolfo Wilcock, La sinagoga degli iconoclasti, Milano, Adelphi 2014, pp. 153-155]