Perec
È già da tempo che la parola «bureau» non fa più pensare alla «bure», quella grossa stoffa di lana bruna con la quale si facevano talvolta tappeti da tavola ma che serviva soprattutto a confezionare gli abiti dei monaci, e che continua a rievocare, almeno altrettanto del cilicio, la vita ruvida e rigorosa dei Trappisti o degli anacoreti. Per metonimie successive, si è passati dal suddetto tappeto allo scrittoio stesso, poi dallo scrittoio alla stanza nel quale si trovava, poi all’insieme dei mobili che costituiscono questa stanza, e infine alle attività che vi vengono svolte, ai poteri che vi si ricollegano, e perfino ai servizi che vi si rendono; si può così, esplorando le diverse accezioni del temine, parlare di «bureau de tabac» (rivendita di tabacchi) o di un «bureau de poste» (ufficio postale), del «Deuxième Bureau» (Servizi Segreti), del «Bureau des Longitudes» *, di un teatro che dà una rappresentazione «à bureaux fermés» (a botteghino chiuso), di un «bureau de vote» (un seggio elettorale), del Politburo, o semplicemente di «bureaux» (uffici), luoghi vaghi, ingombri di fascicoli tenuti insieme malamente, di timbri, di fermagli, di matite mordicchiate, di gomme che non cancellano più, di buste giallastre, e in cui impiegati generalmente intrattabili vi mandano «da un ufficio all’altro» facendovi compilare moduli, firmare registri e aspettare il vostro turno.
* Ente creato nel 1795 con lo scopo di contribuire al perfezionamento della scienza astronomica e il compito di aiutare i naviganti e gli esploratori a preparare i loro viaggi e, su richiesta, di controllare la strumentazione; era composto da tredici membri titolari e da un certo numero di corrispondenti
[Georges Perec, L’infra-ordinario, tr. Roberta Delbono, cit., pp. 83.84]