Perec
Metto un quadro su un muro. Poi dimentico che c’è un muro. Non so più che cosa c’è dietro il muro, non so più che c’è un muro, non so più che questo muro è un muro, non più che cos’è un muro. Non so più che nel mio appartamento ci sono dei muri, e che se non ci fossero muri, non ci sarebbe l’appartamento. Il muro non è più ciò che delimita e definisce il luogo in cui vivo, ciò che separa dagli altri luoghi in cui gli altri vivono, non è più che il supporto per il quadro. Mi dimentico anche il quadro, non lo guardo più, non lo so più guardare. Ho messo il quadro sul muro per dimenticare che c’era un muro, ma dimenticando il muro dimentico anche il quadro. Ci sono i quadri perché ci sono i muri. Bisogna poter dimenticare che ci sono dei muri e quindi non si è trovato niente di meglio che i quadri. I quadri cancellano i muri. Ma i muri uccidono i quadri. Oppure, bisognerebbe cambiare di continuo, o il muro, o il quadro, mettere senza posa altri quadri sui muri, o cambiare sempre il quadro di muro.
Si potrebbe scrivere sui propri muri (come si scrive a volte sulle facciate delle case, sulle palizzate dei cantieri, sulle mura delle prigioni), ma non lo si fa che rarissimamente.
[Georges Perec, Specie di spazi, traduzione di Roberta Delbono, Torino, Bollati Boringhieri 1989, p. 50]