Per scontato

sabato 6 Settembre 2014

La scorsa settimana ho cominciato a fare una traduzione, e quando traduco a me piace sentire la radio, ma non la radio dove fanno sentir le canzoni, o la musica classica, la radio dove la gente parla, e la scorsa settimana, per radio, di gente che parla, ho sentito prevalentemente dei dibattiti, o, meglio, delle conferenze dal meeting di Comunione e liberazione. Che, a parte quel che dicevano, la cosa singolare, per me, era come erano organizzate, queste conferenze, che c’era una persona che introduceva, e presentava gli ospiti di turno e poi, quando l’ospite di turno aveva fatto il suo intervento, la persona che presentava riassumeva quel che l’ospite di turno aveva detto. Che è una cosa che una volta, a Bologna, all’università, io l’avevo vista applicata a una conferenza sul tempo di Gianni Celati, che io l’avevo ascoltata tutta, durava due ore, ed era una cosa lunga, e complicata, e bellissima, parlava di Giacometti, di Joyce, di Beckett, e della loro idea di tempo, parlava di Lobačevskij e delle geometrie non euclidee, una cosa molto difficile e contemporaneamente molto toccante, mi sembrava che fossimo tutti molto colpiti, noi che riempivamo quella grande aula universitaria che c’erano i banchi come a strapiombo sulla cattedra, quasi, e quando aveva finito, Celati, dopo due ore, in questa atmosfera di scoperta e di stupefazione, aveva ripreso la parola la professoressa che lo aveva presentato e aveva detto: «Ecco: Celati ci ha insegnato a non dare  mai niente per scontato». Che io avevo pensato che Celati, quella cosa lì di non dare mai niente per scontato, non l’aveva detta, e che se avesse voluto dirci di non dare mai niente per scontato, ci avrebbe detto: «Non date mai niente per scontato», e poi basta, fine della conferenza, non sarebbe stato lì due ore a leggere il suo intervento sullo spazio che chissà quanti giorni ci aveva messo a prepararlo, Celati ci aveva detto una cosa complicata, e lunga, e stupefacente, che non era una cosa che si poteva ridurre in una formula di una riga, e mi era venuto in mente un professore sardo al quale una studentessa aveva chiesto, una volta, cosa voleva dire Leopardi quando aveva scritto «Sempre caro mi fu quest’ermo colle». «Ah, vuoi saper cosa voleva dire, adesso ti spiego, – aveva detto il professore, – Leopardi voleva dire: Sempre caro mi fu quest’ermo colle». «Sì, professore, ho capito, ma cosa intendeva, dicendo Sempre caro mi fu quest’ermo colle?». «Ah, vuoi sapere cosa intendeva, adesso ho capito; allora intendeva: Sempre caro mi fu quest’ermo colle». «Lo so, aveva detto la studentessa, ma io mi chiedevo che senso dava, Leopardi, a queste parole». «Ah, vuoi sapere che senso dava Leopardi a queste parole, allora, lui a queste parole dava questo senso qua: Sempre caro mi fu quest’ermo colle». Ecco. Alle conferenze di Comunione e liberazione, uguale, ho pensato la scorsa settimana.

 

[Uscito ieri su Libero]