Parlami di Galilei

giovedì 8 Gennaio 2015

Starnone, Ex cattedra

Sono passati pochi giorni e ho chiamato alla cattedra Conocchia.
«Parlami di Galilei, Barbara».
«Galileo Galilei?»
«Proprio lui».
Dopo aver premesso che aveva studiato tutta la notte e dopo che i suoi compagni hanno testimoniato che era vero come se fossero rimasti svegli apposta, ha cominciato. Sono stato a sentire compostamente la sua voce cantilenante che mi informava sulle tappe fondamentali della vita di Galileo Galilei e l’ho interrotta solo una volta, quando ha detto:
«Galileo Galilei faceva esperimenti buttando i gravi giù dalla torre di Pisa».
Con pacatezza le ho consigliato innanzitutto di chiamarlo solo Galilei per non affaticarsi e poi le ho domandato: «Cosa sono questi gravi che Galilei buttava giù dalla torre di Pisa, Conocchia?»
Gelo.
La mia alunna ha dato uno sguardo allarmato al libro che si era portata per conforto e che teneva aperto sulla cattedra, ma senza risultato. Allora si è rivolta supplichevole ai compagni più fidati che già consultavano freneticamente manuali per scoprire cosa fossero i gravi. Quindi, messa alle strette, ha mormorato incerta: «Forse sono dei malati».
Risatina dei più colti, smorfia sofferta di Conocchia, io freddo: «E Galilei li buttava giù…».
«Dalla rupe Tarpea lo facevano».
«Brava, dalla rupe Tarpea forse sì, ma non dalla torre di Pisa».
Conocchia si è avvilita: «E allora Galileo Galilei che buttava?»
Mi sono strofinato gli occhi con pollice e indice, ho detto: «Barbara, niente panico: tu stai sulla torre di Pisa…»
«Con Galileo Galilei» ha mormorato lei per chiarirsi bene la situazione.
«Sì, e vuoi sperimentare il moto dei gravi. Che fai?»
La ragazza ha guardato di nuovo la classe, ma questa volta con rabbia, come per dire: sta-te sentendo le domande assurde che mi fa questo?
Allora sono diventato più duro: «Non ti perdere in un bicchier d’acqua, Conocchia! State lì tu e Galilei, soli, in cima alla torre. Vi siete portati alcuni gravi. Cosa sono, che ve ne fate?»
Silenzio, occhi lucidi di Conocchia. Mi sono intenerito e ho deciso di aiutarla: «Su, è facile: ve ne servite evidentemente per sperimentare la forza… la forza di gra… la for-za di gra-vi…»
«…danza!» ha urlato sghignazzando Soratte.
Mentre la classe se la godeva, Conocchia ha cominciato a piangere.

[Domenico Starnone, Ex cattedra e altre storie di scuola, Milano, Feltrinelli 2006, pp. 148-149]