P. S.
P. S. Quando analizzo questo testo, che dovrebbe fare da postfazione a questo libro, un testo che ho scritto in cinque ore in pause irregolari mentre spaccavo la legna e tagliavo l’erba, un testo che ha il battito rallentato della scure verticale e la melodia della linea orizzontale di una falce austriaca, devo distinguere tra le frasi defluite come somma di esperienza interiore e quelle che ho ricavato dalla lettura. Devo elencare le frasi di autori che, dal momento in cui le lessi, mi affascinano al punto che mi dispiace non averle inventate io stesso. “Non mi considero un rosario, ma l’anello di una catena spezzata” è una variazione rovesciata del nietzsciano “non sono l’anello di una catena, ma la catena stessa”. “Ogni oggetto amato è il centro del paradiso terrestre” è esattamente Novalis. “Verbum caro fatcum est” è S. Giovanni, “la parola fu fatta carne”. “Dioniso, l’allegria si è fatta uomo” è Herder. “Inter urina et faeces nascimur” dovrebbe essere S. Agostino, “nasciamo tra feci e urine”. E malgrado ciò siamo bellissimi. “Le nostre madri ci partoriscono a cavalcioni in tombe aperte” è uno scolastico spagnolo, di cui ho dimenticato il nome. Eppure siamo magnifici, e dunque, qui. Questo è tutto.
[Bohumil Hrabal, Il manuale di un apprendista buffone (1970), traduzione di Annalisa Cosentino, in Spaccone dell’infinito, Cernusco Lomb., Hestia sd, pp. 10-11]