Ottimismi sardi

martedì 7 Novembre 2017

Una cosa che mi è venuta da chiedermi, sulla Sardegna, è: «Ma i sardi, per come li conosco io, sono ottimisti o pessimisti?».
Ammesso che i sardi nel loro insieme siamo qualcosa di coerente, e io credo di sì.
Per il popolo che mi sembra di conoscere meglio tra tutti i popoli del mondo, il popolo russo, io una risposta ce l’avrei: i russi sono pessimisti. In Russia si dice che «Un ottimista è un pessimista male informato», che mi sembra che definisca bene l’orientamento.
In Emilia, che è un altro posto che conosco abbastanza bene, a Parma, in particolare, e nella mia famiglia, in particolare, all’inizio del secolo scorso erano c’era una miseria, nella famiglia di mia nonna, che mia nonna diceva «In casa nostra c’era una miseria che quando siam diventati poveri abbiam fatto una festa». Che anche qui, da questo aneddoto mi vien da trarre una conclusione: in Emilia, cioè, a Parma, cioè, nella mia famiglia, sono ottimisti.
O, perlomeno, erano ottimisti, perché io non lo so, cosa sono: io fino a poco tempo fa credevo di essere pessimista, o, perlomeno, mi piacevano degli scrittori pessimisti, come Thomas Bernhard, che, quando gli han dato il premio il Premio Nazionale Austriaco ha detto, nel suo discorso di ringraziamento, alla presenza di un ministro: «Lo stato è un’entità condannata al continuo fallimento, il popolo un’entità condannata all’incessante infamia e alla demenza. /…/ Non occorre che ci vergogniamo, però noi siamo davvero niente e non meritiamo nient’altro che il caos. A mio nome e a nome degli altri premiati ringrazio questa giuria, ed espressamente tutti i convenuti» (la traduzione è di Elisabetta Dell’Anna Ciancia). Bellissimo, secondo me, e non tanto ottimista, bisogna dire.
Un’altra cosa bellissima, secondo me, è un riassunto, un riassunto in versi dei Dolori del giovane Werther del poeta Ernesto Ragazzoni (nato nel 1870 vicino a Novara e morto a Torino nel 1920) e fa così: «Il giovane Werther amava Carlotta / e già della cosa fu grande sussurro. / Sapete in che modo si prese la cotta? / La vide una volta spartir pane e burro. / Ma aveva marito Carlotta, ed in fondo / un uomo era Werther dabbene e corretto; / e mai non avrebbe (per quanto c’è al mondo), / voluto a Carlotta mancar di rispetto. / Così, maledisse la porca sua stella; / strillò che bersaglio di guai era, e centro; / e un giorno si fece saltar le cervella, / con tutte le storie che c’erano dentro. / Lo vide Carlotta che caldo era ancora, / si terse una stilla dal bell’occhio azzurro; / e poi, vòlta a casa (da brava signora), / riprese a spalmare sul pane il suo burro». Ecco. Ma Ragazzoni era piemontese, e anche Goethe non era proprio sardo, quindi il problema del pessimismo o dell’ottimismo dei sardi direi che rimane. Mi è venuta in mente una cosa che ha scritto Samuel Beckett, in una sua raccolta che si chiama Pseudo Chamfort, che è una specie di raccolta di aforismi (Chamfort è un aforista francese del XVIII secolo) e il pezzo che mi è venuto in mente è questo: «La speranza non è che un ciarlatano che non smette di imbrogliarci; e, per me, io ho cominciato a star bene solo quando l’ho persa. Metterei volentieri sulla porta del paradiso il verso che Dante ha messo su quella dell’inferno: Lasciate ogni speranza ecc.», che è di un pessimismo esemplare, secondo me, e sarebbe bello se Beckett fosse sardo (ha anche un po’ la faccia, da sardo, le rughe, da sardo), ma non è sardo, purtroppo.
Allora mi tocca parlare dell’ultima volta che sono stato in Sardegna a un festival di letteratura (al Cabudanne de sos poetas di Seneghe del 2016), che avevo appena letto una lettera di Zavattini dove Zavattini diceva, presentandosi a Franco Maria Ricci: «Sono un pessimista, ma me ne dimentico sempre», e io avevo pensato che lì, a Seneghe, io stavo proprio così, che il mio pessimismo conviveva con un benessere stupefacente e, anche se Zavattini non è proprio sardo, è anche lui emiliano, mi vien da pensare che il suo pessimismo smemorato sia parente del «Pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà» di Antonio Gramsci, che lui invece sardo lo è, un po’, credo.

[Uscito su Sardinia Post Magazine di ottobre]