Opera

giovedì 30 Ottobre 2008

Tutti avevano mutande di seta rossa. Tessuto avanzato dalle bandiere. La seta si appiccicava al corpo come un bacio.
(…)
L’inquilino del settimo piano, un pittore, acchiappava i colombi e li dipingeva di rosa. I colombi rosa volavano nel cielo scialbo assieme ai gabbiani sporchi e cacavano. Gli uomini arrivarono alla conclusione che fosse frocio. Invece Annuška diceva: “Ti ringrazio, Signore, perché c’è bellezza nel creato”.
(…)
Una volta a un funerale una donna urlò tanto che morì. La sollevarono in alto sulla folla, le si vedevano i mutandoni rossi stretti alle ginocchia con un elastico.
Estate disse che nessuno avrebbe pianto per lui tanto da morirne. Nessuno poi si ricordò chi fosse la donna e quale relazione avesse con il defunto.
Allora ho capito che mi manchi, come marzo, come il colore delle violette, come il profumo della primavera.
(…)
Dopo il terremoto veniva sempre a piovere. E le strade diventavano fradice come i fiori nel mattino.
E subito dopo, l’afa.
Le donne erano stufe di vergognarsi. Indossavano vestiti sbracciati. Le ascelle rasate, grigio-azzurre come il viso dei detenuti. Le braccia tornite come le gambe. Tenevano le borse ben strette quando andavano al mercato. La città era un unico grande mercato. I detenuti boccheggiavano.
Tutti andavano dalle chiromanti a farsi leggere il futuro.
(…)
Una domenica io e Estate andammo in campagna nei dintorni di Tbilisi. Da lì alla zona del conflitto sono solo poche ore di viaggio. Cantammo la messa funebre in una chiesetta talmente piccina che i piedi del defunto sbucavano fuori. Venne a piovere e le donne li ripararono sotto un tetto di ombrelli neri. Io ed Estate cantavamo sulla soglia. L’acqua ci gocciava in bocca.

(Elena Boč’orišvili, Opera, Voland, 2008, 55 pagine, 8 euro)