Opera
Tutti avevano mutande di seta rossa. Tessuto avanzato dalle bandiere. La seta si appiccicava al corpo come un bacio.
(…)
L’inquilino del settimo piano, un pittore, acchiappava i colombi e li dipingeva di rosa. I colombi rosa volavano nel cielo scialbo assieme ai gabbiani sporchi e cacavano. Gli uomini arrivarono alla conclusione che fosse frocio. Invece Annuška diceva: “Ti ringrazio, Signore, perché c’è bellezza nel creato”.
(…)
Una volta a un funerale una donna urlò tanto che morì. La sollevarono in alto sulla folla, le si vedevano i mutandoni rossi stretti alle ginocchia con un elastico.
Estate disse che nessuno avrebbe pianto per lui tanto da morirne. Nessuno poi si ricordò chi fosse la donna e quale relazione avesse con il defunto.
Allora ho capito che mi manchi, come marzo, come il colore delle violette, come il profumo della primavera.
(…)
Dopo il terremoto veniva sempre a piovere. E le strade diventavano fradice come i fiori nel mattino.
E subito dopo, l’afa.
Le donne erano stufe di vergognarsi. Indossavano vestiti sbracciati. Le ascelle rasate, grigio-azzurre come il viso dei detenuti. Le braccia tornite come le gambe. Tenevano le borse ben strette quando andavano al mercato. La città era un unico grande mercato. I detenuti boccheggiavano.
Tutti andavano dalle chiromanti a farsi leggere il futuro.
(…)
Una domenica io e Estate andammo in campagna nei dintorni di Tbilisi. Da lì alla zona del conflitto sono solo poche ore di viaggio. Cantammo la messa funebre in una chiesetta talmente piccina che i piedi del defunto sbucavano fuori. Venne a piovere e le donne li ripararono sotto un tetto di ombrelli neri. Io ed Estate cantavamo sulla soglia. L’acqua ci gocciava in bocca.
(Elena Boč’orišvili, Opera, Voland, 2008, 55 pagine, 8 euro)