Oltre la siepe

lunedì 12 Marzo 2012

Qualche mese fa mi hanno chesto di scrivere un pezzetto sul mio libro preferito da mettere in una antologia di 100 scrittori che avrebbero raccontato ciascuno il proprio libro preferito; solo che poi, pochi giorni fa, mi hanno telefonato e mi ha detto ma c’erano dei motivi per cui il mio pezzetto non sarebbe entrato nel libro, e i motivi sono anche interessanti e meriterebbero, forse, un raccontino a parte, ma non adesso. Adesso ho pensato che mi sarebbe piaciuto pubblicare quel pezzetto che avevo scritto sul mio libro preferito qui, sul Foglio, e cominiciare, con quel pezzetto, la mia collaborazione con il quotidiano diretto da Giuliano Ferrara, che è un signore che fino a qualche anno fa io quando pensavo a lui pensavo Diomemama, e invece l’altro giorno, quando mi ha telefonato per dirmi che nel pezzetto che gli avevo mandato (questo che state leggendo non è il primo pezzetto che pubblico sul Foglio, è il secondo, ma è il primo che pubblico con l’intenzione di scriverne poi anche degli altri), l’altro giorno, dicevo, quando Ferrara mi ha telefonato per dirmi che avevo sbagliato il nome di Gončarov, avevo scritto Aleksandr invece di Ivan, io quando ho sentito la voce di Giuliano Ferrara nel mio telefono ho pensato Ma pensa, e mi sono trovato ad esser contento. E poi ho pensato Ma sei deficiente, a esser contento che ti ha telefonato Giuliano Ferrara? E poi mi son fermato mi son chiesto Ma sei deficiente, a chiederti se sei deficiente? E poi non mi sono risposto e quindi è inutile che la tiro tanto alla lunga.

Il primo vero libro che ho letto, il primo libro da grandi, è stato Il buio oltre la siepe, di Harper Lee, che io per trent’anni son stato convinto che fosse uno scrittore americano, uomo, cinque o sei anni fa ho scoperto che era una scrittrice americana, donna.
Il buio oltre la siepe, di Harper Lee, io l’ho letto che avevo forse undici anni, e mi ricordo benissimo la meraviglia di trovare, dentro un libro senza figure e con così tante pagine apparentemente uguali e monotone, tante di quelle storie che a disegnarle tutte uno non ci sarebbe riuscito nella sua vita, e di quei momenti, quando avevo forse undici anni, io mi ricordo tutto, mi ricordo dov’ero, sotto il portico di casa nostra in campagna, mi ricordo il cantar di mia nonna dalla cucina, mi ricordo che passava mio babbo con dei secchi di calce, mi ricordo la sedia arancione dove ero seduto, mi ricordo la polvere che c’era nell’aria e la sensazione stranissima dovuta al fatto che io, incantato dal libro, non ero per questo incanto estraniato dal mondo ero dentro, nel mondo.
E questa sensazione di esser nel mondo l’ho poi riprovata ogni volta che ho incontrato, mi viene da dire, la letteratura: Delitto e castigo, di Dostoevskij, sdraiato nel letto singolo della mia stanzetta minuscola di Basilicanova, le Poesie di Chlebnikov, da in piedi, appoggiato alla scaffale dei russi della Biblioteca Guanda di Parma, Anna Karenina, che l’ultima volta l’ho letto a andare e venire tra Parma e Bologna su degli interregionali affollati di gente che andava o tornava da lavorare, Europeana, di Ourednik, su dei fogli A4 dentro una stanza anche quella minuscola che mi serviva da studio quando abitavo in centro a Bologna, e questa sensazione di esser nel mondo io la riprovo poi ogni volta che mi trovo di fronte alla letteratura, anche solo tre versi: «Le ragazze, quelle che camminano, con stivali di occhi neri, sui fiori del mio cuore».
E da quel momento lì, dal momento che ho letto Il buio oltre la siepe, di Harper Lee, io ho cominciato a ripetere quella cosa lì, di prendere in mano dei libri e di leggerli, con un movimento anche automatico, non riflessivo, da cane di Pavlov, una pulsione a ripetere quell’esperienza di incanto che non sempre ha però avuto un corrispettivo, anzi, a volte, molte volte, i libri che ho preso in mano poi mi sono trovato a chiedermi cosa ci facevo con quei libri lì tra le mani.
Qualche anno fa ho anche fatto un elenco che si intitolava Libri che ho comprato solo per il titolo, elenco che comprendeva, tra gli altri, quei libri qua:

Anna Filiputti, Ipnosi a mappe cerebrali. Le vie di accesso alle forze della mente (non letto)
Corrado Alvaro, L’uomo è forte (cominciato)
Joachim Fest, Hitler. Una biografia (cominciato)
Ludovico De Cesari, Dizionario degli errori e dei dubbi grammaticali (mai consultato)
David Cooper, La morte della famiglia. Il nucleo familiare nella società capitalistica (cominciato)
Fabrizio Fagiolo, L’operaio americano (cominciato)
Aleksj Slapovskij, Kniga dlja tech, kto ne ljubit čitat’ (Libro per quelli che non gli piace leggere) (arrivato a pagina 324)
Pablo Tusset, Il meglio che possa capitare a una brioche (letto)
Saša Sokolov, Škola dlja durakov (Scuola per deficienti) (lette più volte le prime tre pagine)
Adreï Amalrik, L’Union Soviétique survivra-t-elle en 1984? (L’Unione Sovietica esisterà ancora nel 1984?) (arrivato a pagina 121)
Karel Čapek, Racconti da una tasca (letto)
Jean Vautrin, Diciotto tentativi per diventare un santo (letto)
Juz Aleškovskij, Nikolaj Nikolaevič: il donatore di sperma (viaggio illuminato all’interno dell’oscuro letamaio della biologia sovietica) (letto)
Alexandre Zinoviev, Homo sovieticus (letto)
Jaroslav Hasek, La vera storia e il programma originale del Partito del Progresso Moderato nei Limiti della Legge (letto)
Karel Čapek, Racconti dall’altra tasca (letto)
Philip K. Dick, Vita breve e felice di uno scrittore di fantascienza (letto qua e là)
Poesie dei popoli dell’URSS, I siberiani (letto)
John Fante, Aspetta primavera, Bandini! (comperato nel 1990, non conoscevo Fante, avevo una morosa che si chiamava Francesca Bandini)
Joseph O’Connor, Il maschio irlandese in patria e all’estero (arrivato a pagina 41)

Ecco. Io non riesco a spiegarmi come mai ho comperato Ipnosi a mappe cerebrali. Le vie di accesso alle forze della mente. Non lo so, eppure l’ho comprato, e ce l’ho ancora. Come mai? mi viene da chiedermi, e mi vien da rispondermi che il fatto che ce l’ho ancora, adesso ce l’ho in cantina, da un anno, fino a un anno fa ce l’avevo in casa, il fatto che ce l’ho ancora dipende dal fatto che io, buttare via un libro, non ce la faccio, non lo so perché, cioè io i libri, anche quei libri che te vai a leggere nei posti e te li regalano, quei libri fotografici, pesantissimi, non so, io ho Il grande libro della città di Sassuolo, in quadricromia, carta patinata, dimensioni 32 per 24, che è dentro una specie di porta-libro in cartone, un libro che peserà due chili e mezzo e che io ero convinto che non avrei mai usato nella mai vita e invece dopo l’ho usato, mi hanno chiesto di scrivere una cosa su Sassuolo, ho usato Il grande libro della città di Sassuolo, che la scrivevo poi lo stesso, eh?, cioè non era indispensabile, nella mia libreria, Il grande libro della città di Sassuolo, solo che, buttarlo via, oh, a me mi dispiace, adesso magari lo porto in cantina, tiene un sacco di posto, ma buttarlo via, non ce la faccio.
Solo che, adesso quello me l’han regalato, son stati gentili, se non me lo regalavano era poi lo stesso, perché poi son pesanti, quei libri lì fotografici, e li devi portare a casa, che va be’, lì ero a Sassuolo, ero vicino, ma delle volte gli devi far fare dei seicento chilometri, poi son dei libri costosi, sono cari come il chinino, come dicono a Parma, e li pagano i comuni, con i soldi di tutti, e per cosa?, per darsi dell’importanza, per spender dei soldi, per far veder che son belli, va be’, lasciamo perdere, va be’, comunque lì, quel libro lì, io non ho mica colpa, me l’han regalato, quell’altro, invece, Ipnosi a mappe cerebrali. Le vie di accesso alle forze della mente, chissà cosa avevo in testa, quello è un caso singolare mentre invece i romanzi, i romanzi che compero, buona parte dei romanzi che compero, a me quella cosa là che mi è successa con Il buio oltre la siepe, ecco, anche quello è un caso singolare, quella è una cosa che succede una volta ogni cento. Non è la regola, è l’eccezione.
Che, a pensarci, è normale, perché uno, l’ho detto prima, cioè quello lì è un incanto, è una specie di miracolo, che tu sei concentrato con la testa, con gli occhi, con la bocca, con le orecchie sopra una cosa, e il fatto di esser concentrato sopra quella cosa non determina il fatto che il mondo sparisce, il mondo diventa più mondo, si illumina, e quando hai finito, non so come dire, hai voglia di mondo, hai voglia di parlar con la gente, hai voglia di camminare, hai voglia di muovere i piedi, son quei momenti che ti viene in mente che i piedi son fatti per camminare, non per essere coperti con delle scarpe, per camminare, per farti stare in piedi, e dopo che hai finito un libro che vale la pena, non so come dire, stai in piedi, solo che, c’è una cosa, che mi vien da pensare, che il bisogno dei libri è un po’ un brutto segno, in un certo senso, perché quell’incanto, quell’attrazione per il mondo, noi ci veniamo al mondo insieme, con quell’attrazione lì, e poi piano piano, man mano che diventiam grandi, quell’incanto, forse, sparisce, e abbiamo bisogno di qualcosa che ci aiuti a vedere, a sentire, e allora, per me, quella cosa lì sono i libri, che sono come delle lenti che mi aiutano a vedere meglio le cose, e degli eccitanti che mi aiutano a non dormir tutto il tempo, ma quando ero piccolo, secondo me, non ne avevo bisogno, quando ero piccolo mi svegliavo al mattino che ero contento, e le mie gambe, quando ero piccolo, forse mi sbaglio, ma io ho come un ricordo che lo sapevan da sole, che le gambe son fatte per camminare, e per correre, potevo anche star senza libri, quando ero piccolo, adesso invece, star senza libri, non saprei cosa fare, che vuol dire, anche, che questo incanto dei libri disegna un percorso irreversibile, tu ormai sei entrato per una porta dalla quale non si può uscire, come quando uno si abitua a bere il caffè senza zucchero, prova a berlo, poi, con lo zucchero, se sei capace.

[è uscito sabato sul Foglio]