Ogni volta che squilla

martedì 1 Dicembre 2009

herzog

La mia infanzia è stata totalmente separata dal mondo esterno. Da piccolo non sapevo niente del cinema e per me non esistevano neanche i telefoni. Un’automobile era una cosa assolutamente straordinaria. All’epoca Sachrang, pur trovandosi solo a un’ora e mezza di macchina da Monaco, era un posto talmente isolato che ho visto per la prima volta una banana all’età di dodici anni e ho fatto la mia prima telefonata a diciassette. La nostra casa non aveva il water con lo scarico; anzi, non c’era proprio l’acqua corrente. Non avevamo materassi: mia madre riempiva sacchi di lino con felci seccate. D’inverno faceva così freddo che l’alito si congelava e la mattina quando mi svegliavo trovavo uno strato di ghiaccio sulla coperta. Ma è stato meraviglioso crescere così. /…/ A tutt’oggi, una parte di me non si è ancora adattata alle cose che mi circondano. Per esempio, ho ancora difficoltà col telefono. Sobbalzo ogni volta che squilla.
Potrebbe sembrare bizzarro alla gente di oggi, ma cose come il ritrovamento di una scorta di armi ci hanno garantito un’infanzia meravigliosa. Tutti pensano che crescere in mezzo alle rovine delle città sia stata un’esperienza terribile. Non ho dubbi che lo fu per la generazione dei nostri genitori, che ha perso assolutamente tutto; ma per i bambini si è trattato di un periodo davvero stupendo. I bambini di città occupavano interi quartieri distrutti dalle bombe e si appropriavano dei resti degli edifici, andandoci a giocare e trasformandoli in teatri di grandi avventure. Questi bambini non vanno affatto commiserati. Tutte le persone che conosco e che hanno passato l’infanzia tra le rovine della Germania postbellica vanno in estasi per quel periodo. Era anarchia nel senso migliore della parola.

[Werner Herzog, Incontri alla fine del mondo, a cura di Paul Cronin, ed. it. a cura di Francesco Cattaneo, Roma, minimumfax 2009, pp. 19-20]