O quasi nulla

lunedì 5 Settembre 2011

Non sono mai stato in sintonia con nulla, o quasi nulla, di ciò che mi circondava. Come ho accennato, non ho mai aderito a gruppi politici di qualsiasi natura, a causa del forte disaccordo e dello scetticismo che nutrivo nei loro confronti /…/.
Rimasi poi piuttosto scettico per ciò che riguarda la Seconda guerra mondiale. Non ho notizia di altri che abbiano condiviso questo scetticismo, davvero nessuno. Ma ricordo che frequentavo la biblioteca pubblica di Filadeflia – eravamo nel 1944 o 1945, quando avevo sedici o diciassette anni, – a leggere stranissimi opuscoli di “sette” di sinistra, di gruppi come i marleniti (lei probabilmente non ne ha mai sentito parlare), i quali volevano dimostrare che la guerra era “fasulla”, nel senso che era una manovra voluta dai capitalisti dell’Occidente, in combutta con i capitalisti di Stato del sistema sovietico, mirante a distruggere il proletariato europeo. Non prestavo veramente fede a questa tesi, ma la giudicavo abbastanza curiosa da cercare di scoprire dove andassero a parare quei discorsi. C’era nelle asserzioni dei marleniti qualcosa di abbastanza plausibile da rendermi scettico circa gran parte dell’interpretazione patriottica della guerra. Ricordo anche quanto mi indignò il trattamento riservato ai prigionieri di guerra tedeschi. Ve n’erano alcuni in un campo adiacente alla mia scuola, ed era considerato “da uomini” insultarli e provocarli attraverso il filo spinato. Lo giudicavo allora una cosa vergognosa, benché fossi molto più antinazista di tanti di quei ragazzotti che si dilettavano di quello sport. Ricordo le liti che avevo con loro.
Ricordo anche che il giorno in cui sganciarono la bomba su Hiroshima non riuscii letteralmente a rivolgere la parola ad alcuno. Non vidi nessuno, peraltro. Me ne andai a camminare in perfetta solitudine. Mi trovavo in un campeggio estivo, e quando ascoltai la notizia me ne andai nel bosco e restai solo per un paio d’ore. Non parlai con nessuno e in seguito non capii mai le reazioni di nessuno. Mi sentivo completamente isolato.

[Noam Chomsky, Linguaggio e libertà, traduzione di Cesare Salmaggi, Milano, Marco Tropea – Net 2002, pp. 44-45]