Nuova versione di un vecchio discorso
Io, forse non mi conoscete, mi chiamo Nori, vengo da Parma, e sono laureato in letteratura russa, e ho fatto la tesi su un futurista russo, sul quale ho anche scritto un romanzo, quindi ogni tanto mi chiamano a parlare di futurismo, e quest’anno più degli altri anni perché quest’anno è il centenario del manifesto del futurismo, quello pubblicato da Marinetti su Le Figaro, febbraio del 1909, quello dove si dice, tra l’altro, “La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità pensosa, l’estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno”, e poi, poco più avanti “Un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia”, con autombile maschile, si usava così. E fin, qui tutto bene.
Il problema è che io, essendo laureato in letteratura russa, del futurismo italiano, a parte quelle due cose qua del manifesto di Marinetti, non so quasi niente, quindi ho l’impressione che parlerò soprattutto di futurismo russo, ma adesso vediamo, intanto ho l’obbligo di precisare che La vittoria di samotracia, o Nike (dea della vittoria), è una statua che è stata ritrovata a Samotracia, un’isola del Mare Egeo, nel 1863, priva delle braccia e della testa (solo una mano venne ritrovata nel 1950), come può verificare chiunque andando a cercare Vittoria di Samotracia su Wikipedia.
I futuristi russi, o cubofuturisti, all’inizio non si chiamavano futuristi russi. Cioè, in Russia, non si chiamano neanche adesso futuristi russi, si chiamano futuristi e basta, o cubofuturisti, ma allora, quando han cominciato, si chiamavano all’inizio Gilejani, da Gileja, regione della Crimea dove i fratelli Burljuk avevano casa, e poi, dopo un po’, budetljani, parola inventata da Chelbnikov che è stata tradotta come Futuriani, o come Uomini del futuro, e che potrebbe forse voler anche dire Quelli che sono quel che saranno. Han cominciato a chiamarsi futuristi solo nel 1913, tre anni dopo la loro prima uscita comune, un almanacco intitolato La trappola dei giudici, stampato sul retro della carta da parati nel 1910, del quale circolarono in tutto una ventina di copie, perché l’editore, David Burljuk, non aveva i soldi per pagare il tipografo, e il tipografo mandò al macero la maggior parte delle 400 copie stampate, Burljuk riuscì a salvarne solo una ventina, che sono oggi una rarità bibliogrfica, io ne ho avuta tra le mani la copia della biblioteca pubblica di San Pietroburgo, a me è sembrata bellissima, refusi compresi.
[Inizio della lettura che ci sarà a Cuneo il 16 ottobre e a Avigliana il 17 ottobre (tra le musiche dello Xenia Ensemble e di Caroline Weichert) nel programma intitolato La battaglia tra futuristi russi e futuristi italiani]