Non hanno idea

martedì 12 Agosto 2014

foster wallace, solitudine

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

WALLACE: Gli scrittori che conosco hanno una certa autoconsapevolezza, una capacità di lettura critica di sé e degli altri che li aiuta nel loro lavoro. Ma quel tipo di sensibilità rende molto difficile stare in mezzo alla gente senza ritrovarsi per così dire a levitare dalle parti del soffitto, guardando quello che succede. Una delle cose che voi due scoprirete, una volta usciti dall’università, è che riuscire a vivere davvero come un essere umano, e contemporaneamente produrre qualcosa di valido, con quel grado di ossessività che è necessario per farlo, è veramente complicato. Non è un caso che si vedano tanti scrittori entrare nel trip della celebrità da popstar, o iniziare a bere e drogarsi, o rovinarsi il matrimonio. Oppure uscire semplicemente di scena dopo i trenta o quarant’anni. È veramente complicato.

G. P.: Probabilmente bisogna fare un sacco di sacrifici.
WALLACE: Non so neanche se sia una decisione volontaria o totalmente conscia. Quasi tutti gli scrittori che conosco sono molto concentrati su se stessi, non nel senso che si pavoneggiano davanti allo specchio, ma che hanno una tendenza non solo verso l’introspezione, ma verso una tremenda forma di autoconsapevolezza. Quando scrivi, ti devi continuamente preoccupare dell’effetto che farai sul tuo pubblico. Stai dicendo le cose in maniera troppo sottile, o non abbastanza sottile? Cerchi sempre di comunicare in modo originale, e quindi diventa molto difficile, almeno per me, comunicare come vedo comunicare fra loro i normali abitanti dei Cleveland, con le loro guanciotte rosse, quando si incontrano per la strada.
La mia risposta, per quanto mi riguarda, sarebbe che no, non è un sacrificio; è semplicemente il mio modo di essere, e credo che non sarei felice a fare qualunque altra cosa. Penso che le persone congenitamente portate per questo tipo di lavoro siano per certi versi dei sapienti, per altri versi quasi dei ritardati. Andate a un convegno di scrittori, una volta o l’altra, e ve ne renderete conto. Si va lì per incontrare autori che sulla carta sono semplicemente straordinari, e di persona sono del tutto disadattati. Non hanno idea di cosa dire o cosa fare. Tutto quello che dicono viene controllato, e in fondo minato, da una specie di editor che hanno dentro. La mia esperienza è stata questa. Perciò negli ultimi due anni ho investito una parte molto maggiore della mia energia a insegnare, cioè di fatto esercitandomi a vivere da essere umano.

[Hugh Kennedy e Geoffrey Polk, In cerca di una «guardia» a cui fare da «avanguardia». Un’intervista con David Foster Wallace, in David Foster Wallace, Un antidoto contro la solitudine. Interviste e conversazioni, traduzione di Martina Testa, Milano, minimum fax 2013, pp. 40-41]