No no, io sono d’accordo, con quel che dici tu
Chissà chi si ricorda di Oscar Luigi Scalfaro, un signore molto cattolico, nato a Novara nel 1918, che era stato magistrato, e poi era entrato nell’assemblea costituente, e poi era stato parlamentare dal 1946 al 1992, e poi era diventato il nono presidente della Repubblica Italiana, carica alla quale l’aveva candidato Marco Pannella, che vedeva in lui «un Pertini cattolico» e che poi aveva detto di essersi sbagliato e che Scalfaro era stato il peggiore presidente di sempre. Adesso io non voglio giudicare il valore politico del lavoro di Oscar Luigi Scalfaro, mi sento però di poter dire qualcosa sulla voce, di Scalfaro, che aveva una voce, un mondo di parlare, un’intonazione, diceva le cose con una cantilena che, quando mi capitava di sentirlo, per radio, o in televisione, a me veniva da pensare che, qualsiasi cosa avesse detto, Scalfaro, io ero contrario. Avesse anche letto un testo scritto da me, non so, l’inizio di questo pezzetto, queste poche righe in cui dico che io, qualsiasi cosa dicesse Scalfaro, ero contrario, a me, se lo sentissi, per assurdo, detto da Scalfaro, Scalfaro avrebbe un modo, di dire che io sono sempre in disaccordo con quel che dice lui, che a me verrebbe da dire «No no, io sono d’accordo, con quel che dici tu», dando il via a una spirale illogica e insensata che è meglio chiuderla subito qui, perché non è di Scalfaro, che mi voglio occupare oggi, ma di Laura Boldrini. E quel che voglio dire, di Laura Boldrini, la presidente della camera, è che lei quando parla, ha un tono, alle cose che dice dà una tale aria d’importanza, sembrano venire così dall’alto, le parole della Boldrini, che io, prima ancora che mi arrivi il senso esatto delle sue parole, a me mi viene da dire «No no, non ci siamo». Quindi, per me, parlare di Laura Boldrini, è un po’ complicato, e, di conseguenza, questo pezzetto non sarà così chiaro, e imparziale, e distaccato come quelli che l’han preceduto, portate pazienza, per cortesia, ma poca, perché di cose, sulla Boldrini, dopo questa lunga introduzione su Scalfaro, ne dirò solo e due una, la seconda, avrò solo il tempo di accennarla. La prima cosa che voglio dire riguarda la proposta della presidente della camera di introdurre una riforma linguistica che doveva portare a chiamare i ministri femmine la ministra, e i sindaci femmine la sindaca, e gli assessori femmine l’assessora e così via. La prima volta che ne avevo sentito parlare, io avevo pensato che allora, se si voleva essere almeno minimamente coerenti, bisognava chiamare un pilota maschio il piloto, uno psichiatra maschio lo psichiatro, un giornalista maschio il giornalisto, una guida alpina maschio il guido alpino, una guida turistica maschio il guido turistico, una guardia giurata maschio il guardio giurato, una vedetta, maschio, il vedetto, una sentinella, maschio, il sentinello, un pediatra, maschio, il pediatro, un barista, maschio, il baristo, un fascista, maschio, il fascisto, un ambientalista, maschio, l’ambientalisto, un obbligazionista, maschio, l’obbligazionisto, un omicida, maschio, l’omicido e che una lingua così, a me l’italiano piaceva moltissimo, e mi sembrava, come aveva detto un poeta russo che si chiama Osip Mandel’štam, «la più dadaista delle lingue romanze», ma era una lingua, che, secondo me, proprio per com’era fatta lei, non poteva rispondere sissignore agli ordini di nessuno, neanche della presidente della camera, e quando avevo sentito questa proposta a me era venuta in mente una cosa che mi sembra avesse detto un filosofo austriaco che si chiamava Wittgenstein quando aveva detto che «la lingua si cura da sé», che era una cosa che mi sembrava che fosse così, e la direzione in cui va la lingua non dipende da una persona, per quanto importante creda di essere, ma dall’insieme dei discorsi che fanno tutti i parlanti di quella lingua lì.
Un altro tema del quale si è occupata recentemente la Boldrini è l’antifascismo. Antifascismo che è diventato, un po’ a sorpresa, uno dei temi di questa campagna elettorale; la Boldrini, da una parte, sostiene che «I gruppi neofascisti vanno sciolti», qualcuno, d’altro canto, cita Pasolini e il suo «Fascismo dell’antifascismo». Io, devo dire, quando penso a Pasolini mi viene sempre in mente Manganelli, che una volta ha scritto che in certe cose che scriveva Pasolini «Quel che si nota è una tale quantità di superiorità morale nei confronti dell’universo, da essere difficilmente compatibile con una prosa comprensibile».
Ma il discorso sul fascismo e sull’antifascismo preferisco non liquidarlo nelle poche righe che mi rimangono, ci dedicheremo magari un pezzo a parte, magari già quello di domani, e oggi finisco con una frase di uno scrittore russo che in Unione Sovietica non è mai riuscito a pubblicare e che, uscito dall’Unione Sovietica e stabilitosi in America, è diventato uno dei più importanti scrittori russi del ‘900, Sergej Dovlatov. Ecco lui, Sergej Dovlatov, alla fine degli anni settanta, appena arrivato a New York, scrive: «Dopo i comunisti, quelli che sopporto meno sono gli anticomunisti».
A domani.
[Uscito ieri sulla Verità]