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domenica 13 Febbraio 2011

Dopo il canale passammo per un posto dove c’erano ancora le buche delle bombe per terra, e le case dalle parti c’erano rimasti solo i muri esterni. I passi risuonavano forte sul marciapiede, non si sentiva nessun rumore. In fondo a una strada, tra due case crollate del tutto, ce n’era una che fino al primo piano stava ancora in piedi, ma tutte le finestre erano scardinate, pareva che non ci abitasse nessuno. L’entrata era chiusa con due tavole in croce e sopra c’era scritto: «Gehfar».
Il russo si fermò.
– Eto ne pravda, ne Gehfar, – disse.

[Franco Lucentini, I compagni sconosciuti, Torino, Einaudi 1951, p. 35]