Neanche un pio

martedì 10 Marzo 2009

Metto qui sotto l’ultima parte (la quinta) del discorso sul dialetto (intitolato Neanche un pio) pronunciato a Bologna il 9 marzo 2009 in occasione di un convegno intitolato Dialetto lingua viva

Parte quinta
(intitolata Franco Loi e le caccole)

Quest’estate ho sentito Umberto Fiori che cantava delle canzoni che il testo di queste canzoni erano i versi in milanese di Franco Loi. Prima di cantare Fiori leggeva la traduzione in italiano, e diceva che la traduzione italiana è difficile, che arrivi al dialetto, per esempio Balabiot, dice Fiori, come fai a tradurlo, vuol dire uno che balla nudo, si può tradurre con innocente, ma vuoi mettere Innocente con Balabiot?
Non c’è niente da fare, il dialetto ha un’espressività, anche il parmigiano, per dire, per significare che qualcosa è asciutto, o che uno è dimagrito molto si dice l’è sut c’me na bresca, è asciutto come una caccola, per dire che qualcosa puzza si dice al spusa c’me n’endes, puzza come un indice, che gli indici erano le uova che mettevano nei pollai per indicare alle galline il posto dove fare le uova, e dopo un po’ marcivano, e puzzavano allora, per dire che uno è alto si dice l’e alt come na picca, è alto come una picca, per dire che una cosa costa molto si dice l’e car c’me al chiné, è caro come il chinino, per dire che una cosa non serve a niente si dice l’è gram cme al smoj, è gramo come lo smoglio, e al smoj, lo smoglio, che poi questa parola smoglio probabilmente in realtà non esiste, al smoj era l’acqua che restava dopo aver fatto il bucato con la cenere, che non serviva a niente, era da buttar via, gram c’me l smoj. Non so, per dire che una cosa è lacera, e vecchia, e povera, a Parma si dice L’e trid c’me l’Albania, è trito come l’Albania, e han cominciato a dirlo probabilmente quelli che avevano fatto la guerra e eran tornati dall’Albania e l’Emilia, all’epoca, primo novecento, era un posto povero, ma l’Albania.
Allora, non lo so, l’espressività che c’è in questi termini dialettali, anche se uno non sa esattamente cosa vogliono dire, io per esempio per tutta la vita sut c’me na bresca l’ho detto senza sapere che la bresca era la caccola, l’ho scoperto venti minuti fa, l’ho chiesto al telefono a una mia amica intanto che veniva su il caffè, c’è un’espressività, in queste parole qua, che trovarla in italiano è difficile, mi viene da dire.
E mi vien da pensare che sarebbe bello far dei musei linguistici, esporre una caccola e sotto metterci scritto: caccola, brèsca, sut c’me na bresca. Esporre una picca, che anche quella non so di preciso cos’è, immagino che sia una specie di alabarda che usavano le guardie di Maria Luigia duchessa di Parma, e sotto scriverci Pica, alabarda, elt c’me na pica, Esporre una cartina dell’albania e sotto scriverci Albania, Albania, trid c’me l’Albiana, e questa cosa si potrebbe fare in tutti i posti d’Italia, anche a Milano, esporre uno nudo che balla e sotto scriverci Balabiot, innocente, delle cose così, ho finito, grazie, scusatemi ancora ma proprio, questo era un argomento, come fai in dieci minuti a parlar di una cosa così?