Ma perché?
Una giornalista mi ha mandato delle domande per un’intervista per Il piccolo di Trieste, gli ho risposto per iscritto e le ho chiesto di non cambiare niente, lei me lo ha assicurato, stamattina vedo l’intervista, l’hanno cambiata. Io, citando Baldini, scrivo “può essere tutto un coglione”, loro lo censurano, non lo mettono. Io scrivo «il 2022 è stato l’unico anno, dal 1999, quando ho cominciato a pubblicare, che non ho pubblicato un libro», loro scrivono ««il 2022 è stato l’unico anno, dal 1999, quando ho cominciato a pubblicare, nel quale non ho pubblicato un libro». Mi correggono. Non so come ringraziare. E mi fanno dire, tra virgolette, nel titolo, Gli stolti siamo noi (non credo di aver mai pronunciato, in vita mia, la parola stolto) e dicono che sono parmense (io, invece, sono parmigiano). Metto qua sotto l’intervista vera, quella scorretta, con tutti gli errori di cui sono capace. State bene.
“Ci sono cretini che hanno visto la Madonna e cretini che non hanno visto la Madonna”, recitava Carmelo Bene in “Nostra Signora dei Turchi”, nel suo libro la questione è declinata non sull’essere “cretini” quanto piuttosto sull’essere o meno “coglioni”? Quale è la (eventuale) differenza?
Credo ci siano tanti modi per definire quella che Raffaello Baldini chiama la coglionaggine: «può essere tutto un coglione», scrive lui, «può essere anche istruito, può essere perfino laureato, certo che se è ignorante, i coglioni ignoranti, quelli sono una disgrazia, non si ragiona, è come parlare al muro».
Mi sembra interessante quel che dice Ricky Gervais, che «quando sei morto tu non lo sai, è doloroso solo per gli altri; la stessa cosa succede quando sei stupido».
Questa idea di Gervais mi sembra stia bene insieme all’idea di Raffaello Baldini che «La battaglia contro la coglionaggine comincia da se stessi». Quindi la questione non è, secondo me, sull’essere o meno coglioni, credo che siamo tutti, coglioni, la questione è sul quanto e, soprattutto, sul come, lo siamo.
Paolo Nori, se Raffaello Baldini a cui lei ha dedicato il suo ultimo libro “Chiudo la porta e urlo”
non fosse realmente esistito, potrebbe sembrare una sua invenzione…
Lei mi sopravvaluta.
Come in passato con Dostoevskij e con la Achmatova anche in questo suo nuovo “romanzo
biografico” il soggetto appare un pretesto per parlare della Sua vita, dei Suoi scritti, delle persone a Lei care. Così anche la Romagna di Baldini è per Lei un pretesto per evocare la Sua Emilia, la peculiare luce e le sonorità della lingua di Parma. Un passaggio di testimone?
Sul passaggio di testimone, le ripeto: lei mi sopravvaluta. Del fatto che in un romanzo su Baldini parlo molto di me, così come ho fatto nel romanzo su Dostoevskij e in quello su Achmatova, c’è un passo, in Chiudo la porta e urlo, che fa così: «Io ho l’impressione che leggere Baldini, dall’inizio alla fine, le poesie, e il teatro, significhi rivedere la tua città, la tua strada, i tuoi amici, le tue fidanzate, i tuoi treni, sentire la voce di tua mamma che ti chiede cos’hai, rivedere la prima panchina dove ti sei seduto con una ragazza, la prima volta che hai fatto una firma, quando hai giocato a nascondino da piccolo, la prima volta che hai visto la neve, tutti i coglioni che hai incontrato nella tua vita, tutte le volte che ti sei sbagliato, tua mamma, tuo babbo, tua nonna, i tuoi fratelli, le tue sorelle, la tua barista, la tua macchina, le tue partite a carte, le telefonate, quelle sere che telefonavi e se ti rispondevano o no ti sembrava che potesse cambiare la tua vita, i tuoi gatti, i cani di tuo zio, “le chiavi vecchie che non aprono più niente, ma ti hanno aperto tutto”, e che non ti azzardi a buttare via, e dopo che hai visto tu te queste cose, così precise, così vere, così tue e così di tutti, come fai a non parlarne? Come fai a non raccontarlo a nessuno, eh? Come fai?»
Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, nel marzo del 2022 l’Università Bicocca di Milano tentò di cancellare il suo corso sul romanziere russo Fëdor Michajlovič Dostoevskij, per “evitare ogni forma di polemica dato il momento di forte tensione attuale”. Quanto è reale ancora oggi il pericolo che la nostra coscienza critica possa essere censurata?
La censura, per chi fa il mio mestiere, oggi, in Italia, è una benedizione; dopo quella censura, in particolare, ho fatto centinaia di interventi pubblici, il 2022 è stato l’unico anno, dal 1999, quando ho cominciato a pubblicare, che non ho pubblicato un libro, e è stato l’anno che ho fatto più interventi pubblici, nei quali, tra le altre cose, dicevo che mi sembra che la letteratura, quando vale, come nel caso di Dostoevskij, sia più forte di ogni censura e di ogni dittatura.