Ma cosa dice
Dopo, al dibattito, a Torino, alla fine Calabresi mi ha chiesto se volevo concludere io e io ho detto che non sapevo tanto cosa dire ma che avevo l’impressione che noi quattro, tutti e quattro, la cosa che facevamo, il nostro mestiere, era raccontar delle storie, che era un mestiere che, come avevamo detto, si rischiava di spaccarsi la testa, e che questa cosa mi faceva venire in mente Maksim Gor’kij, che era nato povero, era diventato presto orfano, e si era messo a scrivere e aveva avuto successo e gli aveva scritto Čechov e gli aveva fatto i complimenti e lui aveva risposto che i complimenti di Čechov l’avevano imbarazzato e gli sembrava di non meritarseli, Perché io sono uno che si è messo a correre e adesso vado come un treno e andrà a finire che vado a finir contro un muro e mi spacco la testa, aveva scritto a Čechov Gor’kij, più o meno, cito a memoria. E Čechov gli aveva risposto Gor’kij, gli aveva scritto, ma cosa dice, lei lo sa benissimo che non è che ci si spacchi la testa perché si scrive, ma si scrive perché ci si è già spaccata la testa, aveva scritto Čechov a Gor’kij, più o meno, cito a memoria.
[Domenica 17 novembre, alle 17, Milano, Monterosa 91, Chiudo la porta e urlo]