Livorno
Mi hanno invitato al festival Il senso del ridicolo di Livorno, e come sono arrivato mi è venuto in mente Iosif Brodskij, nato a Pietroburgo e emigrato poi in America; quando gli han chiesto che differenza c’era tra l’America e la Russia lui ha detto che, nelle città americane dove aveva vissuto le strade servivano come mezzi di comunicazione e per strada non succedeva niente, mentre a Pietroburgo succedeva tutto per strada; a me Livorno sembra un posto dove succede tutto per strada e mi son ricordato quando ci ero venuto per la prima volta, quindici anni fa, e avevo visto dei bambini giocare a pallone per strada, e mi ero rivisto a giocare a pallone per strada io, nella periferia di Parma, all’inizio degli anni settanta, e ho rivisto quel gesto così bello e così sepolto da una qualche parte nella memoria del mio corpo di coricarmi sopra l’asfalto e di allungarmi il più possibile con il braccio destro per arrivare, sotto una macchina, a togliere il pallone dal radiatore sotto il quale si era andato a incastrare. Mi hanno invitato a Livorno per fare una lettura dai repertori dei matti delle città di Bologna, di Milano, di Torino, di Roma, di Cagliari, di Parma, di Andira e di Livorno, che sono dei libri che da un paio d’anni curo per la Marcos y Marcos, sul modello del Repertorio dei pazzi della città di Palermo, di Roberto Alajmo. Dal 2015, con una ventina di scrittori per ciascuna delle città interessate, repertoriamo i matti della città e a Bologna, che è il primo repertorio che abbiamo fatto, una ragazza che di mestiere fa la redattrice per delle case editrici e che si chiama Chiara ha tirato fuori questo matto qui: «Uno era il migliore amico di Michael Jackson. Lo aveva conosciuto quando Michael Jackson aveva dovuto rifare il bagno nella sua casa di Parigi e si era rivolto alla Manutencoop. La Manutencoop aveva mandato lui, che era il fontaniere di fiducia, e così lui era partito per Parigi con i suoi attrezzi da fontaniere e un sacchetto di tortellini, che non sai mai bene quello che trovi da mangiare quando vai in giro. La casa di Michael Jackson era piena di cose meravigliose che Michael Jackson gli aveva fatto vedere; poi Michael Jackson gli aveva chiesto di trasformare il gabinetto in modo che venisse su dal pavimento, premendo un tasto, solo nel momento del bisogno poi, finito il bisogno, premendo un altro tasto tornasse giù e sparisse sotto le piastrelle. A un certo punto si era fatta l’ora di mangiare, e lui aveva tirato fuori i suoi tortellini da cuocere; Michael Jackson aveva il suo mangiare speciale, ma quando aveva visto i tortellini gli aveva chiesto di fare cambio e gli erano piaciuti da matti. A quel punto era nata l’amicizia e così, entrati in confidenza, avevano cominciato a chiacchierare. Poi lui si era messo a cantare e a suonare, così, tanto per passare il tempo, e Michael Jackson era rimasto così colpito che gli aveva chiesto per favore di insegnargli a cantare e a suonare, perché – aveva detto – era molto meno bravo di lui».
Quando l’ho sentito io mi sono accorto che non solo la storia, anche la sintassi e il lessico, erano bolognesi (fontaniere a Bologna è l’idraulico), e ho pensato che stavamo facendo anche un piccolo osservatorio linguistico, forse. Quando poi è uscito il Repertorio dei matti della città di Milano, mi è sembrato che fare il matto a Milano fosse molto diverso da fare il matto a Bologna: i matti bolognesi sembran dei matti che fanno spettacolo della propria stravaganza, e il luogo in cui sono principalmente ambientate le avventure dei matti bolognesi è il bar, mentre il luogo principale dei matti milanesi è la metropolitana, che è anche quello un luogo pubblico ma più solitario. I matti torinesi, invece, per quel che può valere l’esperienza dei nostri libretti, sembrano matti domestici, e il matto più di Torino tra i matti di Torino è forse questo qua. «Uno telefonava ai vicini per dire che dalla sua finestra vedeva un quadro storto e per favore di drizzarlo, se no non riusciva a dormire».
Io ricorderò questo festival di Livorno anche perché è stato il primo posto dove ho letto in pubblico un matto di Cagliari memorabile e terribile, questo qua: «C’era uno che un giorno stava cagando, quando aveva cominciato ad uscirgli della roba bianca dal culo. “Sembravano le pappardelle Barilla”, raccontava. Allora aveva pensato fossero le sue budella, l’intestino magari, ma non si era preoccupato più di tanto. Stava sempre lì sul cesso quando gli era venuto in mente che però senza intestino non si può mica vivere, e che dunque era bene non perdere le frattaglie. Con calma e coraggio, utilizzando il pollice della mano destra, aveva allora rinfilato tutta quella roba bianca, che era in realtà una tenia, da dove era venuta».
Dopo ci son state molte altre cose molto interessanti, per esempio il dibattito tra Davide Ferrario e Gianni Canova sul valore comico di Checco Zalone, che ha avuto dei momenti molto belli, ma devo confessare, con un po’ di vergogna, che, per me, la cosa più emozionante del festival è stata la lettura del matto delle pappardelle.
[Uscito ieri su La verità]