L’importante è partecipare

sabato 24 Novembre 2018

Quelli che dicono che, quando ci sono le coppe europee, e gioca una squadra italiana che non è la squadra per la quale tengono loro, loro tengono per la squadra italiana perché è italiana, ecco io, quelli lì, non che pensi che raccontino delle balle, magari dicono la verità, ma a me sembrano come quelli che fumano senza respirare.
C’è della gente che va avanti degli anni, a fumare senza respirare, e senza sospettare che quello che fanno loro non è fumare, è un’altra cosa. Che per carità, se a loro piace, fanno benissimo, e se dicon che fumano, possono dirlo, solo che, mi dispiace, loro non fumano, fanno un’altra cosa.
Allo stesso modo io, che, da tossico del calcio, se così si può dire, quando perde la Juventus, per esempio, in Italia, in Europa o nel mondo, sono sempre di ottimo umore, ho il sospetto che quelli che sono contenti che le squadre italiane vincano nelle coppe europee, non siano dei veri appassionati di calcio ma qualcos’altro.
La frase alla quale io ho creduto quando ero piccolo, quella frase di De Coubertin sulla quale dicevano fosse fondato lo spirito delle olimpiadi moderne, «L’importante è partecipare», è, nel calcio contemporaneo, utile per le prese in giro: credo sia capitato a tutti quelli che frequentano gli stadi di sentire un coro del tipo: «Juventino (o interista, o milanista, o fiorentino, o bolognese, o parmigiano ecc. ecc.) non ti arrabbiare, l’importante è partecipare».
La partita di cui voglio parlare oggi, però, è un’eccezione.
È una partita di Champion’s League in cui mi sono trovato a fare il tifo per una squadra italiana diversa dal Parma.
Era il ritorno dei quarti di finale tra Roma e Barcellona, giocato allo stadio Olimpico di Roma il 10 aprile del 2018; all’andata la Roma aveva perso 4 a 1 e era praticamente impossibile, ribaltare il risultato, anche considerando chi c’era contro, il Barcellona che era una squadra fortissima e capace anche di ribaltamenti di risultati: l’anno prima, dopo aver perso 4 a 0 all’andata degli ottavi di finale contro il Paris Saint-Germain, aveva vinto al ritorno per 6 a 1, per dire.
Bene, è inutile farla tanto lunga, tutti quelli che seguono il calcio si ricordano benissimo come è finita quella partita, 3 a 0 per la Roma, con il terzo gol segnato a otto minuti dalla fine di testa su calcio d’angolo dal difensore Manolas. Una grande soddisfazione anche per me, soddisfazione che credo dipenda dal fatto che a vincere non è stata la Juventus, o l’Inter, è stata la Roma, che è una squadra che non è abituatissima a vincere, soprattutto in Europa, come si dice nel pezzetto che copio qua sotto del libro di Andrea Cardoni Tutti romani tutti romanisti e che mi sembra che renda in un modo chiarissimo il motivo per cui uno che tiene per il Parma può, ogni tanto, tenere anche per la Roma: «Io mi ricordo che andavamo allo stadio con mio figlio e stavamo vicini a Luisa, quella con l’ombrello a spicchi giallorossi. Io non le ho mai sentito fa una polemica, tifava e basta, era una di quelle che “la Roma non si discute, si ama” e basta. Ma che registri? Ma sei del Messaggero? Insomma Luisa lei l’ombrello l’ha tenuto sempre aperto a prescindere dai presidenti, dall’allenatori, dai giocatori, dalla classifica, dalla tessera del tifoso. Ecco: noi siamo quelli come lei, quelli come Giorgio Rossi, non so se te lo ricordi Giorgio Rossi, te sei giovane, ma lui era il massaggiatore storico della Roma e dice che poco tempo fa, che era già andato in pensione, dice che una volta l’autobus s’è pure fermato e ha cambiato tratta per accompagnarlo direttamente a casa. A Giorgio Rossi. Noi siamo fatti così. Io ancora me ricordo Dante, quello che s’è inventato l’urlo “Daje Roma Daje”. Qualcuno dice pure che s’è inventato “La Roma non si discute si ama”. A me me l’ha insegnata mio zio Bruno. Ma tu Dante l’hai conosciuto? È morto l’anno dello scudetto e non ha fatto in tempo a vederlo, porello. Dice che andava allo stadio dagli anni sessanta. Si chiamava Dante… Dante? Aspetta che mi ricordo. Dante Ghirighini, ecco. Ghirighini, me pare. Dice che faceva il macellaio a Trionfale e dice che a un certo punto, erano gli anni sessanta, a una partita della Roma fa invasione di campo con una bandiera enorme. Lui andava allo stadio con la vespa: era grosso e quando passava, prima o dopo la partita, noi gli strillavamo “Daje Roma Daje” e lui rispondeva. Arrivava in curva e tutti lo salutavano. Poi faceva il discorso col vocione suo. Ogni partita beveva un sacco di caffè Borghetti perché sveniva, ogni tanto, durante la partita e allora tutti che andavano a ritirallo su, lui se rinfrancava un po’ e poi ricominciava a fa il tifo. Dice che l’AS Roma gli aveva trovato pure un posto come spazzino, pensa te. E quando è morto gli hanno parcheggiato la vespa dentro allo stadio sotto la curva sud e prima della partita, adesso non me ricordo che partita era, Totti gli ha portato i fiori e piangeva e pure noi piangevamo tutti.
Noi siamo l’eccezione, su tutto. Dice, la moviola in campo. Adesso tutti dicono della moviola in campo. Noi siamo stati i primi che hanno avuto la moviola in campo: se chiamava Andrade, ahahah. Scherzi a parte: noi siamo i primi che ci siamo tolti la maglietta per un gol. Eh, Pruzzo s’è tolto la maglia per la prima volta nella storia del calcio dopo un gol contro la Juve e io c’ero allo stadio, ancora me lo ricordo. Pensa un po’ te. Ma te lo sai chi è stato il primo giocatore che dopo un gol non ha esultato perché era un ex? Balbo quando ha segnato con la Roma contro l’Udinese. Siamo stati i primi ad aver fatto un gol e a non aver esultato. Adesso lo fanno tutti. Poi adesso non esulta più nessuno perché cambiano squadra ogni sei mesi. Vedi? Noi siamo un’altra cosa. Noi siamo quelli di Roma Liverpool. Tutti ricordano Roma Liverpool o Roma Lecce o Roma Torino de Coppa Italia o Roma Slavia Praga, nessuno però se ricorda di Roma Gornik: è lì che è successo tutto. Sta a sentì, non so se c’entra ma te lo dico lo stesso: all’epoca non c’erano le partite come adesso, che le fanno vedere tutte in televisione e però quella sera c’era la diretta televisiva. La prima l’avevamo pareggiata 1 a 1 in casa. Al ritorno eravamo andati ai supplementari. Ci segnò uno dei loro ai supplementari e noi a un minuto della fine segniamo: Scaratti, ancora me lo ricordo. 2 a 2, in coppa. I gol fuori casa valgono doppi e Martellini, che era il telecronista di allora, dice che siamo in finale della coppa delle coppe, all’epoca c’era la coppa delle coppe, non so se lo sai. Insomma andiamo a dormire contenti, con la gente che faceva festa e il giorno dopo per strada invece uno dice che Martellini s’era rincoglionito e che la Roma non era andata in finale e che i gol fuori casa, in coppa, valgono doppio tranne che nei supplementari e che bisogna rigiocarne un’altra contro il Gornik. Lo spareggio. Insomma: giochiamo un’altra partita e finisce 1 a 1 pure quella. E se tira la monetina. Tirano la monetina e Martellini vede esultare le maglie bianche della Roma negli spogliatoi e dice a tutti che la Roma ha vinto e che è in finale e noi ricominciamo a fa’ casino un’altra volta. E invece manco per niente: i giocatori della Roma s’erano scambiati le maglie con quelli del Gornik e… ecco… questo è tutto».

[uscito ieri sulla Verità]