Le osservazioni
Io, quando vado in giro, di solito, non è che vado in giro così, senza niente da fare, ho delle cose da fare, e le cose che devo fare sono le osservazioni, tutti i giorni ne devo fare due o tre.
Il giorno che è morto il cantante inglese David Bowie, per esempio, ero a Milano e, tra le altre cose, son tornato in quella libreria che c’è in piazza Gae Aulenti che si chiama Feltrinelli RED, e son tornato a guardarla perché la prima volta che l’avevo vista mi era sembrata incredibile, una libreria così poco libreria, e quella seconda volta lì avevo pensato che difatti quella lì non era una libreria, era un un incrocio tra un autogrill e la scuola Holden.
E, fatta questa osservazione, con la piacevole impressione di aver fatto il mio dovere ero andato in stazione ero montato su un treno per Bologna e nei posti davanti a me c’erano un ragazzo e una ragazza che io non li vedevo in faccia, sentivo solo quel che dicevano e lei aveva detto detto a lui «Hai sentito chi è morto?», «Chi è morto?», «Quel cantante lì, famosissimo», «Bob Dylan?», «Sì lui».
Che io mi ero ricordato di una volta, dieci anni prima, che ero alla stazione di Bologna, alle sei e mezza di mattino, correvo per prendere il treno, nel sottopassaggio della stazione, uno che arrivava di corsa giù dalle scale si era rivolto a un altro che arrivava in senso inverso «Ma è vero che è morto Berlusconi?» gli aveva chiesto.
«Sì», aveva risposto l’altro, «è vero».
«Be’», aveva detto il primo, «meglio lui di me».
Allora per me, quel giorno lì, il viaggio in treno e poi tutto il mattino, era morto Berlusconi. Tutti i pensieri «Chissà il suo medico, che diceva che scampava fino a centoventi anni. Che figura». «E le televisioni?». «E il Milan?». Dopo, verso l’una, quando ero ritornato a Bologna, non ne parlava nessuno “Forse non è mica vero”, avevo pensato. Ma per me, quelle quattro ore lì, era stato vero, e avevo pensato che fare un repertorio degli abbagli, delle notizie che si eran rivelate tutte sballate ma che erano esistite, per del tempo, nella nostra testa, sarebbe stato un repertorio forse anche bello, a me per esempio tutte le volte che vado in un albergo, quando poi esco, al mattino, dopo dieci minuti che sono uscito mi fermo di colpo, apro la borsa, comincio a frugarci dentro perché mi è venuto in mente che mi sono scordato nella stanza d’albergo il caricatore del telefono.
E intanto che frugo mi immagino che telefono in albergo e gli dico di cercare, per cortesia, nella stanza 207 che ho lasciato lì il caricatore del telefono e se me lo possono mandare, a carico del destinatario, a casa mia a Casalecchio di Reno. E subito dopo penso che probabilmente non lo troveranno e mi vedo, la mattina dopo, a Bologna, a entrare nel negozio della Apple, andare al primo piano, comprare un caricatore e pagare col bancomat.
Quanto può costare? mi chiedo nella mia testa, e mi immagino che costi intorno ai venti euro, secondo me, massimo trenta, e mi sono appena detto così che trovo il caricatore e son così contento.
Ecco, queste cose qua, la morte, finta, di Bob Dylan, o la scomparsa, finta, del caricatore del mio telefono, sono cose che, per un certo periodo di tempo, son così vere, producono un’energia così potente che, se si trovasse il modo di trasformarla in un liquido, o in un gas, potrebbe essere il carburante dei prossimi decenni, secondo me.
[uscito ieri su Libero]