Le donne?

lunedì 13 Maggio 2013

Qualche mese fa ho sentito un editore di Faenza che raccontava che da giovane era innamorato di una ragazza che l’aveva iniziato alla pratica politica di estrema sinistra e lui, per via di questa ragazza, aveva cominciato a leggere Marx e tutti i testi che bisognava leggere per essere di estrema sinistra e, dopo un po’, questa ragazza l’aveva lasciato e si era sposata, con un portiere (di calcio) democristiano, e aveva fatto 3 figli nel giro di pochissimi anni. Questa vicenda aveva generato l’idea di un libro che è diventato il bestseller, della casa editrice di questo editore, libro che si intitola Tutto quello che gli uomini sanno delle donne (e la casa editrice Moby Dick, e l’editore Guido Leotta), ed è un libretto di un centinaio di pagine tutte bianche, che ha venduto più di centomila copie, appena uscito la CGIL di Milano, da sola, ne ha ordinate 8.000 , da regalare ai suoi associati, e anch’io, all’epoca, sarà stato il 1990, l’avevo trovato sul bancone della Feltrinelli di Parma e l’avevo comprato, e quell’editore di Faenza, Guido Leotta, dopo un po’ si era stancato di farlo. Gli sembrava poco serio vendere tante copie di un libro su cui non c’era scritto niente.
Adesso io rispetto, naturalmente, la decisione di Guido Leotta, ma l’idea che delle donne gli uomini non ne sanno niente secondo me era un’idea buona.
Le donne, se devo dire qualcosa, io mi ricordo quando ero piccolo, in campagna, nella casa che la mia famiglia ha a Basilicanova, in provincia di Parma, vicino a Traversetolo, io mi ricordo mia nonna con le sue amiche, nel fresco della cucina, che stavan lì a far delle chiacchiere, cioè facevano contemporaneamente i mestieri, non so, mondavano i cornetti, che sono i fagiolini, a Parma si dicon cornetti, facevano contemporaneamente i mestieri e le chiacchiere, e io stavo lì, nel fresco della cucina, zitto, a ascoltare, avrò avuto nove anni, e mi passava davanti un sacco di gente, nelle loro debolezze, e io stavo benissimo e contemporaneamente un po’ mi vergognavo, perché io ero un maschio, e quella lì era una cosa da femmine, e mi sentivo, cioè mi piaceva, ma contemporaneamente mi sentivo che non ero a casa mia, cioè ero a casa mia, ma ero in una parte della mia casa che, se ancora non mi era stata interdetta per via del fatto che ero piccolo, mi sarebbe stata interdetta, non faceva parte del mio futuro.
E infatti, pochi anni dopo, io avrei cominciato a fare le cose da maschi, a bere, a fumare, a giocare a briscola e a giocare a pallone, e a guardare giocare a pallone, e a parlare di calcio, e nei posti delle donne, in quel fresco delle cucine, nella bianca meraviglia degli stenditoi, nel senso di pulito dei cassetti delle lenzuola, negli antibagni, misteriosi appartamenti di misteriose lavatrici, io mi sarei sentito, dai quattordici anni in su, come uno straniero.
Mi ricordo una volta, avevo vent’anni, ero ad Amsterdam, ero in vacanza e ero lì, perso in un quartiere residenziale, guardavo la gente che andava, veniva, impermeabili, occhiali, borse di pelle, tutti sembravan sapere benissimo quello che stavan facendo, tutti avevano una famiglia, dietro i portoni, tutti avevano una direzione, un lavoro e io ero lì, da solo, come se fossi un austriaco, a guardare dentro la mia vacanza poco sensata che doveva durare, era meglio non pensarci, altre due settimane.
Ecco, io, con le donne, per molto tempo, devo dire, ho avuto quello sguardo lì da austriaco, cioè io non sapevo cosa farci, con le donne. Cioè sapevo che bisognava averla, una relazione con le donne, e in certe cose era anche una relazione piacevole, però non ero capace. Cioè non ero capace di stare tranquillamente, da olandese, in Olanda, ci stavo da austriaco.
Adesso vi confesso una cosa che non ho mai detto a nessuno, e mi scuso di questo impulso che non voglio frenare e per la totale mancanza di pudicizia, se così si può dire, ma io, per molto tempo, dopo che, sapete con le donne, le cose che fanno gli uomini con le donne, e anche le donne con gli uomini, e anche gli uomini con gli uomini e le donne con le donne, a dire il vero, ma insomma, quella roba lì, ecco io, per molto tempo, dopo che si faceva quella cosa lì, che generalmente a me mi piaceva, non dico che non mi piacesse, ecco io per molto tempo a me mi veniva da dire, la prima cosa dopo che era successa quella cosa lì, «Che ore abbiamo fatto?», mi veniva da chiedere. Mi son sempre trattenuto non l’ho mai detto, eh?, però mi veniva da dirlo, non so perché.
Poi quello lì, l’incanto di quel posto lì, non di quello lì, dei posti femminili, delle cucine, degli stenditoi, dei bagni, degli antibagni, di quei posti lì all’ombra, freschi, c’è una poesia di un poeta che si chiama Luciano Erba, la poesia si intitola Caino e le spine e a un certo punto Erba dice: «Intorno erano cose molto femmine,
disinvolte ad esistere».
Ecco io, quei momenti lì, con intorno cose molto femmine, disinvolte ad esistere, io quando li incontro ma non perché sono un uomo, non perché sono un maschio, non mentre sto facendo il mio mestiere da maschio, quando lo facevo, adesso forse lo faccio un po’ meno, non perché mi viene, come dire, prescritto, di occuparmi delle cose femmine, ma così, per strada, mentre sto passando, ecco io, quando incontro le cose molto femmine, disinvolte ad esistere, per me, devo dire, è un incanto.

[Parte del discorso sulle donne tenuto ad Albinea rielaborata appena e pubblicata ieri su Libero]