Le cose che mi piacciono o che mi dispiacciono

giovedì 12 Novembre 2015

Da qualche anno, cioè praticamente da quando è nata mia figlia, nel 2004, su un blog che c’è in rete e che si chiama come me (www.paolonori.it), mi segno delle cose che mi piacciono, o che mi dispiacciono, di quel che ci diciamo con mia figlia, che, quando ne scrivo, chiamo convenzionalmente la Battaglia. E tre anni fa, quando la Battaglia mi ha accompagnato a Torino, al salone del libro, era la prima volta che dormivamo fuori in un albergo (e era la prima volta che la Battaglia dormiva in un albergo in vita sua), quando siamo arrivati alla stazione di Torino Porta Nuova la Battaglia si è fermata davanti al tabellone delle partenze ha allargato le braccia ha detto «Che città meravigliosa».

Allora lì mi è venuto in mente di scrivere un libro che raccogliesse queste memorie della Battaglia, questi momenti che la Battaglia diceva delle cose che mi erano sembrate, minimamente, memorabili, come quando mi aveva detto che il suo dolce preferito erano le fragole con panna senza fragole, che la sua merenda preferita era un panino col prosciutto senza pane, e la sua colazione preferita il latte coi biscotti senza latte o quando mi aveva chiesto «Ma te, lo sai che Olio e Olio recitavano insieme e poi quando quello grasso è morto quell’altro non ha mai più fatto dei film?»; «Olio e Olio?» le avevo chiesto io, «No», mi aveva detto lei, «Aglio e Olio», o un’altra volta che io cantavo, che lei era piccola che dormiva da me, io cantavo per farla addormentare, e le stavo cantando Genova per noi, e era un po’ che cantavo, e pensavo che dormisse, invece si era voltata, mi aveva guardato, mi aveva detto «Scusa, mi ero addormentata»; e insomma il libro alla fine l’ho fatto e poi è venuto, e mi sembra sia un libro che prova a raccontare, tra le altre cose, com’è strano essere un babbo oggi, che non si può essere un padre come son stati padri i nostri padri, i buoni padri di famiglia che ci trasmettevano i valori, perché non ci son più i buoni padri di famiglia e forse non ci son più neanche i valori, e io ad ogni modo credo che a mia figlia, i suoi valori, non posso pretendere di darglieli io, ma che dovrà fare lo sforzo, tremendo, mi rendo conto, di trovarseli da sola, i suoi valori, e ho mi è venuta in mente di una volta che lei, eravamo in bicicletta, era ancora piccola, avevamo uno di quei seggiolini che si metton davanti, sul manubrio, io non la vedevo in faccia ma sentivo quel che diceva e a un certo punto l’ho sentita dire «Io non le voglio, le righe», e io, non capivo, quel che diceva, le ho chiesto «Che righe?», e lei mi ha detto «Le righe che ci son sulla faccia», e io ho capito che voleva dire le rughe e le ho detto «Ah, va bene, non c’è problema, ci son dei medici che ti addormentano, quando sei grande che cominciano a venirti le righe, ti taglian la faccia, ti cuciono che non si vede niente quando ti svegli hai una pelle liscissima che sei senza righe», le ho detto, e lei ha taciuto un po’ e poi alla fine mi ha detto «No, io le voglio, le righe», e ho pensato che questo, forse, era l’unico modo in cui potevo influenzare i suoi valori, cioè fare come se non li influenzavo e poi dopo, dicevo, il libro è uscito, e mi son messo a presentarlo, e alla fine delle presentazioni mi sono accorto che c’era una cosa che non aveva scritto, della mia relazione con la Battaglia, perché era una che quasi non si poteva a scrivere provo a scriverla adesso. Era una cosa che a me era successa, per la prima volta, quando avevo avuto la prima fidanzata vera che avevo avuto nella mia vita, cioè la prima fidanzata che avevo avuto davvero, non così per provare, o per imitazione, perché ce l’avevano gli altri no, questa era la prima fidanzata che mi piaceva, che a me era una cosa che mi era successa tardissimo, avevo già più di vent’anni, e mi ricordo una sera, ero andato a prendere questa ragazza, si chiamava Francesca, ero andato a prenderla in macchina, la mia prima macchia, una due cavalli bianca e una sera, ero andato a prendere Francesca dopo una giornata di quelle normali, facevo l’università, e era stato un giorno come son tutti i giorni, con delle cose belle e delle cose brutte, delle piccole soddisfazioni, il tè alla macchinetta, dove studiavo io c’era un distributore di bevande che c’era una bevanda al gusto di tè al limone che mi piaceva moltissimo, delle piccole soddisfazioni come la bevanda al gusto di tè al limone e delle piccole rotture di coglioni, avevo tirato dei cancheri, come sempre, e era arrivato davanti a casa di Francesca con la testa piena dei cancheri che avevo tirato e le avevo suonato e lei era scesa e era entrata in macchina e d’un tratto, mi ricordo benissimo, era successa una cosa stupefacente, che avevo la macchina piena di Francesca.
Ecco, con la Battaglia, io son dieci anni che mi succede che, quando sono con la Battaglia, il modo era pieno di Battaglia, ed è una cosa stupefacente che, son passati dieci anni, io non mi ci sono ancora abituato e spero di non abituarmici mai finché scampo.

[Questa cosa è uscita su Vogue Bambini (che era allegato a Vanity Fair)]