Le corde

martedì 5 Gennaio 2010

shainsha

Ecco l’intervista di un giornalista del quotidiano “Kayhan” di Teheran a un uomo che ha abbattuto statue dello scià:
DOMANDA: Golam, lei è diventato popolare in questo quartiere come demolitore di statue. Direi anzi che in tale campo viene considerato una specie di veterano.
RISPOSTA: Infatti. Ho cominciato a demolirle già ai tempi del vecchio scià, il padre di Mohammed Reza, quando abdicò nel 1941. Ricordo l’esplosione gioiosa della città nell’udire che il vecchio scià se n’era andato, e la corsa generale a tirar giù i monumenti. Ero ancora un ragazzo, davo una mano a mio padre e ai vicini per abbattere le stature che Reza Khan si era fatte erigere nel nostro quartiere. Quello fu il mio battesimo del fuoco.
D: È stato perseguitato per averlo fatto?
R: A quel tempo non ancora. Dopo la partenza dello scià, ci fu un certo periodo di libertà. Il giovane erede non aveva ancora la forza d’imporre il suo potere, quindi chi avrebbe dovuto perseguitarci? Tutti stavano contro la monarchia. Lo scià era sostenuto solo da una parte degli ufficiali, e dagli americani. Poi arrivò il colpo di stato: Mossadeq fu messo in prigione, i suoi uomini e i comunisti vennero fucilati. Lo scià rientrò in patria e instaurò la dittatura. Era il 1953.
D: Ricorda il ’53?
R: Come no? Fu l’anno più importante, nel senso che segnò la fine della democrazia e l’inizio del regime. Comunque, ricordo che appena la radio comunicò che lo scià era fuggito in Europa, la gente si precipitò nelle strade per abbattere i monumenti. Da anni e anni il giovane scià non faceva che erigere stature in onore suo e del padre, per cui ce n’era un bel po’ da abbattere. Mio padre era morto, ma io ormai ero grande e stavolta esordii come demolitore in proprio.
D: Le ha abbattute tutte?
R: Sì, non è stato difficile. Al rientro dello scià dopo il colpo di stato, in città non c’era più un solo monumento di Pahlavi. Ma lui cominciò immediatamente a farne erigere di nuovi, a se stesso e al padre.
D: Vuol dire che voi li tiravate giù, lui li ricostruiva, voi li tiravate giù di nuovo e via di seguito?
R: Proprio così. Roba da far cascare le braccia. Ne distruggevamo uno, e lui ne costruiva tre; ne distruggevamo tre, e lui ne tirava su dieci. Non se ne veniva mai a capo.
D: E poi, dopo il ’53, quando fu che li tiraste giù di nuovo?
R: Volevamo farlo nel ’63, ossia durante l’insurrezione scoppiata per l’arresto di Khomeini. Ma lo scià scatenò un tale massacro che ce ne mancò il tempo e ci toccò nascondere le funi.
D: Intendete dire che avevate delle corde apposta?
R: Altro che! Funi di sisal grosse così, che tenevamo nascoste presso i mercanti di corde del bazar. C’era poco da scherzare: se ci scopriva la polizia, finivamo al muro. Tenevamo tutto pronto, calcolato al millimetro, in attesa del momento giusto. Nel ’79, durante l’ultima rivoluzione, ci si vollero immischiare anche i dilettanti, per cui purtroppo ci furono molti incidenti: più d’uno ci rimase sotto. Abbattere un monumento non è semplice come sembra, ci vogliono pratica e professionalità. Bisogna stabilire di che materiale è fatto, il peso, l’altezza, se all’intorno è saldato o cementato, in che punto attaccare la fune, in che direzione far oscillare la statua e, infine, come distruggerla. Appena cominciavano i lavori per erigere una nuova statua, noi ne approfittavamo per fare i nostri calcoli: ecco l’occasione ideale per sapere com’era fatta la costruzione, se la figura era vuota o piena, e, soprattutto, il sistema di fissaggio allo zoccolo.

[Ryszard Kapuśiński, Shah-in-shah, traduzione dal polacco di Vera Verdiani, Milano, Feltrinelli UE 2009, pp. 43-44]