La laurea

venerdì 16 Aprile 2010

sorrentino

Al protagonista del romanzo di Paolo Sorrentino Hanno tutti ragione (Feltrinelli 2010, 317 pp., 18 euro), il cantante Tony Pagoda, detto Tony P. («quarantaquattro anni carichi e feroci»), a un certo punto torna in mente «una scena da quattro soldi, la mia professoressa delle medie che mi dice che faccio temi sgrammaticati, ma io non penso proprio e una folata di rabbia vendicativa mi attraversa, se è ancora viva la vado a trovare e le sventolo sotto gli occhi la laurea ad honorem in lettere che mi ha conferito l’anno scorso l’università del Québec dove si dice, tondo tondo, che Tony Pagoda è un poeta. Insomma non penso proprio che un poeta è sgrammaticato».
Il suo chitarrista, che è un chitarrista colto, talmente colto che, per sostenere la superiorità del ripieno (una specie di calzone) sulla pizza margherita «scomoda uno scrittore polacco il cui nome non saprei ripeterverlo neanche se facessi duecento tentativi», questo chitarrista a Tony Pagoda «non mi fa paura manco si che. Manco se mi scagliasse addosso tutta l’Enciclopedia britannica mi farebbe paura». «Lui fa parlare i libri, – scrive Pagoda, – io faccio trasudare la madonna dell’esperienza che tengo che lui se la sogna». A legger dei libri, secondo Tony Pagoda, «non si va da nessuna parte. Soprattutto se te ne stai in casa a leggere. La sera bisogna uscire, girare, mangiarsi la notte, perdersi nella merda della periferia e capire che solo la notte, con i suoi accordi e le sue note improbabili, ti può far capire qualcosa». Poche pagine dopo, sentendosi proporre da Maurizio De Santis («trentasei anni portati a caso») di andare al porto, con la sua Alfetta amaranto, perché attraccano i colombiani e ci si può rifornire di cocaina «direttamente alla fonte», Tony P. commenta: «Io, a dire il vero, gli dico subito di sì, con lo stesso impeto di Tom Sawyer quando doveva andare a cazzeggiare in campagna con amici e capanne». E cinque pagine dopo Tony P. dice: «Ma è facile parlare con senno di poi, a fare questo son buoni tutti, anche gli agenti di cambio, direbbe Oscar Wilde». Sorrentino qui deve essersi accorto che in bocca a uno che pensa che «a leggere non si va da nessuna parte» (anche se laureato ad honorem nell’univeristà del Québec), questa citazione di Wilde non sta tanto bene, e allora finisce la frase così: «direbbe Oscar Wilde, che una volta lessi a scuola per sbaglio». Qualche decina di pagine dopo, Tony P. si scontra con un malavitoso i cui occhi «iniettano dolore, come quelli del conte Ugolino», e che «avanza verso di lui come Farinata degli Uberti».
«È il meriggio, e mi fanno male le costole»; «quelli sono stessi i napoletani a rotolarsi come modelle anni settanta dentro ai veli trasparenti dei luoghi comuni»; «un dubbio atroce si districa in me come un Tarzan poliomielitico senza machete e dentro la foresta»; «Hai un rapporto col tempo alterato. Drogato di false dilatazioni aberranti»; «Ne sai qualcosa in più e prima sullo sfilacciamento delle vite se hai avuto il privilegio nefasto di assistere al deterioramento accelerato dei detenuti»; «Negli anni a venire, eserciti di detersivi monopolizzeranno l’olfatto, gettandoci non privi di sconforto in un asettico miasma fatto di niente che caratterizzerà tutti gli appartamenti»; «Ma bisogna sapersi accontentare quando i denti non sono più bianchi e quando, senza averlo desiderato, le tue masse adipose in espansione sono diventato un buon modello per i pittori malati come Bacon e Picasso». Ecco: la prosa di Tony P. sembra la prosa di uno che di serate in casa a legger dei libri deve averne passate; le infrazioni alle regole grammaticali sembrano come una specie di velo, come quelle vernici che si metton sui mobili per anticarli, per renderli almeno un po’ difettosi, e a chi legge vien perfino il dubbio che Toni P. una laurea vera l’abbia poi presa, più avanti, nel libro, prima di mettersi a scriverlo, altrimenti non si capirebbe il motivo, di questa voce così beneducata, solo che poi si arriva alla fine che non si è mai laureato.

[Uscito ieri su Libero]