La cosa che manca

venerdì 3 Dicembre 2010

[Domani, sabato 4 dicembre 2010, alle 18.00 si inaugura, alla galleria civica di Modena, alla Palazzina dei Giardini e a Palazzo Santa Margherita, in corso Canalgrande, la mostra Lo spazio del sacro, organizzata e coprodotta dalla Galleria Civica di Modena, e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, con opere di Adel Abdessemed, Giovanni Anselmo, Kader Attia, Paolo Cavinato, Chen Zhen, Vittorio Corsini, Josep Ginestar, Anish Kapoor, Richard Long, Roberto Paci Dalò, Jaume Plensa, Wael Shawky. ll testo qua sotto fa parte dell’audioguida della mostra]

Oggi, forse, la cosa che manca, nelle nostre, come dire, vite, si fa fatica anche a pronunciarle, queste parole, La mia vita, per non parlare della morte, La mia morte, La morte di mio babbo, e anche La morte, da sola, oggi, forse, quello che manca, a parte le autorità, che son sparite, non ci sono più, c’è stato un momento che ci sono state, forse, oggi non c’è più nessuna autorità, a parte quello, che quello lo sappiamo, oggi, forse, quello che manca, mi vien da pensare, è la figura del sacro, quel che abbiamo di sacro, ma non quello che c’è dentro la testa, che lì ciascuno ha la propria testa, che per uno è la patria, per uno è la famiglia, per uno è la legge, per uno è la libertà, per uno è Dio, quanto spazio prende Dio, nei nostri discorsi, io non parlo dei discorsi, parlo delle vite, dei nostri momenti, quando il mondo, si fa fatica a pronunciarla, questa parola, Mondo, quando il mondo ti dà una botta, come se ti dicesse che esiste, come se ti tirasse fuori dai tuoi pensieri, come se ti tirasse la giacca, se tu avessi una giacca, e ti si manifestasse, nel senso che è lì, e c’era anche prima, e tu te l’eri scordato, e ti accorgi che suona, il rumore delle sfere, che delle volte si va a nascondere in cose minuscole, in momenti che non l’avresti mai detto, come quando stendi il bucato, e poi esci e torni a casa e senti odore di sapone di Marsiglia, o come quando hai un computer nuovo e stai caricando il programma di scrittura, o come quando sei in giro, in centro, con tua figlia, e ti volti a vedere se è dietro di te e la vedi e ti vien da pensare “Ma com’è bella”, o come quando firmi un contratto di allacciamento del gas, o quando vedi che gli alberi sono diversi e pensi “L’autunno ha cambiato il giardino”. Tutte le volte che ti svegli che hai fame. Quando senti qualcuno che sta attento a quello che dice. Quando ti rammendi le tasche della giacca. Quando si beve il primo vino dell’anno, hai vent’anni, e sembra un succo di frutta, sì e no cinque gradi. Quando vedi un uomo assorto nei suoi pensieri. Quando stai per lasciare l’appartamento nel quale hai abitato tre anni, fai l’ultimo giro e trovi il mozzicone di candela che avevi usato il primo giorno che c’eri entrato, che non ti avevano ancora attaccato la corrente. Quando stai stendendo i panni e ti sorprendi a cantare. Quando sei in giro, al mattino, per il centro, e tutti i posti in cui devi andare sono ancora chiusi, e entri in un bar, e ti ci fermi mezz’ora, e ci trovi una folla di pensionati che gira intorno ai quotidiani come i bambini, con la bella stagione, intorno alle altalene dei giardini pubblici. Quanto tuo babbo ti chiama Ligera, hai tre anni, e tu pensi che voglia dire cravatta, e sei contento che tuo babbo scherza con te. Quando esci da lavorare, hai sedici anni, hai fatto otto ore in un prosciuttificio, e adesso vai a casa, e se così contento che ti strapperesti i capelli. Quando sei a letto, e sei stanco, e dici alla tua gatta, che ha quattordici anni, «Vieni qui», e la gatta vien lì. Quando sei sulle spalle di tuo nonno, e fate una gara di corsa, e tu e tuo nonno vincete, e tu eri il più piccolo e non vincevi mai. Quando su per una salita, sull’appennino, è notte, hai ventisei anni, sei a piedi, per mano a una ragazza, e voltate l’angolo della strada e c’è un mare di lucciole, e non è normale, tutte queste lucciole, dev’esser successo qualcosa. Quando tagli il pane, certe volte. Quando sei da solo, e ti apparecchi. Quando parli e ti sembra di sentire tuo babbo, che è morto da undici anni.

[Esce oggi su Libero, la foto è: Josep Ginestar, Todos Buscamos, 2010 (part.), acciaio Cor-ten, legno, foglia oro, courtesy l’artista, veduta dell’allestimento della mostra Lo spazio del sacro, chiostro di Palazzo Santa Margherita 2010, Modena, foto di Carlo Fei]