Jim Thompson, Fëdor Dostoevskij, il grillo e i libri di genere giallo

venerdì 16 Agosto 2013

Jim Thompson, Un uomo da niente

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una decina di anni fa mi avevano telefonato da Radio 3 e mi avevano chiesto cosa stavo leggendo, e io gli avevo risposto che stavo leggendo i gialli che aveva scritto un mio amico, Luciano Marrocu, e che io non ero un grande lettore di gialli ma quelli di Marrocu li leggevo volentieri perché ci trovavo dentro una malinconia che mi sembrava desse senso a quei libri più di quanto glielo desse la soluzione dell’enigma poliziesco alla quale, visto che non ero un gran lettore di gialli, non davo una grande importanza, avevo detto allora. Il conduttore radiofonico, mi ricordo, aveva taciuto un attimo e poi mi aveva detto «Lei, probabilmente, preferisce i noir», e a me era venuta in mente una scena del film Blues Brothers, quando John Belushi e Dan Akroyd entrano in un locale dove devono suonare e si accorgono che è un locale di gente vestita tutta come i cow boys, e si avvicinano al proprietario e gli chiedono «Ma voi, che musica fate?», e il proprietario risponde «Tutta, la musica. Country, e western». E all’epoca, una decina di anni fa, io che scrivevo dei romanzi che non avrei saputo bene dire di che genere fossero, devo dire ero un po’ invidioso, del successo dei gialli, e mi ricordo che ero stato molto contento quando un libraio di Campobasso mi aveva detto che, quando qualcuno entrava nella sua libreria chiedendo un bel giallo, lui gli dava Delitto e castigo, di Dostoevskij. Adesso, son passati degli anni, il successo dei gialli, e dei noir, continua, forse è anche aumentato, e è aumentato anche il numero di gialli, e dei noir, che ho letto io, e ho trovato degli autori, che scrivon dei gialli, e dei noir, che mi piacciono molto, e che mi sembrano molto bravi, non solo il Dostoevskij di Delitto e castigo, anche il James Cain di La morte paga doppio o il Chester Himes di Rabbia ad Harlem. Allora quando ho letto nella quarta di copertina di Un uomo da niente, di Jim Thompson, che Thompson è, insieme a Flannery O’Connor e a James Cain, lo scrittore preferito di Bruce Springsteen, ho comprato il libro, solo che poi, mi viene in mente una cosa che ha scritto lo scrittore russo Daniil Charms, che il 25 giugno del 1933 ha scritto: «Oggi ho mangiato una mousse inglese alla vaniglia e ne sono rimasto contento.». Ecco io, nel mese di luglio del 2013, ho letto Un uomo da niente, di Jim Thompson, e non ne sono rimasto contento. Dire perché non ne sono rimasto contento mi viene difficile. Mi ricordo una volta, facevo l’università, un mio amico che si chiama Marco mi aveva detto che stava leggendo Delitto e Castigo «Ah, – gli avevo detto io, – che bello, e dove sei arrivato, è già morto, Raskolnikov?». Allora, in quel caso, a Marco, Raskolnikov come si sa non muore, e in un certo senso, suscitandogli l’aspettativa di una morte che poi non c’è, secondo me è stato un elemento che ha reso la sua lettura ancora più memorabile di quel che è già normalmente la lettura di Delitto e castigo, solo che con Marco eravamo amici, sono scherzi che si possono fare con gli amici, i lettori di Libero io la maggior parte non li conosco neanche, è bene non anticipare degli elementi della trama, neanche finti, e allora l’unico modo di dare ai lettori un’idea di quel che troverebbero dentro Un uomo da niente, di Jim Thompson (traduzione di Luca Briasco, Einaudi Stile libero 2013, pp. 250, euro 17), se decidessero di leggerlo, è prenderne un pezzo e copiarlo, e il pezzo che ho scelto è a pagina 16 e 17, e fa così: «Finito l’ultimo articolo, cominciai ad avvertire quelle ondate di nausea mentale che preannunciano l’arrivo della mia musa. Sentii l’urgenza di aggiungere qualche verso al mio manoscritto incompiuto Vomito e altre poesie. Infilai un foglio nel rullo della macchina da scrivere, e dopo i preliminari di rito cominciai: “Vite dei grandi, o vite di massa | formano un’unica, putrida melassa. | Vita mia, ti venderò per un bicchiere | (ma pieno, da crollare sul sedere) | di quello forte”. Non un granché. Decisamente non all’altezza di Omar, o forse avrei dovuto dire di Fitzgerald. Provai di nuovo: “Il sentire, mio compagno di stanza, | mi scuote e mi trascina nella danza | (e io affondo, affondo, affondo), | per poi lasciarmi triste ed impotente | ubriaco a contare le ore lente”. Peggio che andar di notte. “A contare le ore lente”: che accidenti significava? E quando mai ero stato ubriaco? Per non parlare della vena autocommiseratoria in quell’“affondo, affondo, affondo…”. Strappai il foglio dal rullo e lo gettai nel cestino». Ecco. Solo un’ultima cosa, il protagonista, quello che scrive queste poesie, di mestiere fa il giornalista, e è stato in guerra, e gli è successa una cosa che a me ha fatto venire in mente quando, sei anni fa, quando mia figlia aveva due anni, son stato a casa di una mia amica che aveva appena avuto un bambino, e il suo bambino a un certo momento si è fatto la cacca addosso, e quella mia amica l’ha cambiato, e quando l’ha cambiato io ho visto che il bambino di quella mia amica aveva il grillo (a Parma lo chiamiamo il grillo), e appena l’ho visto mi sono chiesto “Ma a cosa serve, quel bagaglio lì?”. Ecco, il protagonista del libro di Thompson, se ho capito bene, e non credo dicendolo di rovinare la lettura a nessuno, non ha più il grillo.

[Dev’essere uscito su Libero l’11 agosto]