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domenica 29 Novembre 2009

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[di un discorso sul copiare in letteratura pronunciato alla triennale di Milano il 28 novembre del 2009]

Buongiorno. Allora io, qualche mese fa, quando Maurizio Matrone mi ha parlato di una giornata dedicata al copiare in letteratura, di questo progetto, mi ha detto, e mi ha chiesto se mi andava di venire qua a provare a leggere ad alta voce dei passi di qualche libro per far degli esempi in cui la lettura ad alta voce, l’interpretazione, trasformava, in un certo senso, il testo scritto, tipografico, io la prima cosa che mi è venuta in mente è che questa parola, progetto, è una parola che ultimamente si usa così tanto che a me tutte le volte che la sento usare mi vien da pensare Progetto? Non son mica un geometra, per far dei progetti.

E subito dopo mi è venuto in mente quell’altra parola, associata di solito ai libri, o alle canzoni, o ai film, Messaggio, e lo scrittore Nabokov che quando gli chiedevano qual era il messaggio del suo ultimo libro lui diceva Messaggio? Non son mica un postino, per portar dei messaggi.

Poi mi è venuto in mente che nella nota dell’autore che c’è alla fine del Candido di Sciascia, si parlava di qualcosa del genere, del copiare una struttura in letteratura, e la sono andata a cercare e ho visto che lì Sciascia cita Montesquieu che diceva che Un’opera originale ne fa quasi sempre nascere cinque o seicento altre, queste servendosi della prima all’incirca come i geometri si servono delle loro formule.

E mi è piaciuto questo fatto che secondo Montesquieu quelli che scrivono i libri un po’ sono dei geometri. E m’è venuto in mente l’aggettivo geometrile coniato credo da Gianni Celati.

E ho provato a pensare se c’era qualcuno che diceva che quelli che scrivevano dei libri eran dei postini ma non m’è venuto in mente nessuno.