Il senso dei puzzle
Il libro di Benjamin Wood Il caso Bellwether, appena uscito per Ponte alle grazie (traduzione di Maurizio Bartocci e Valerio Palmieri) comincia con un ragazzo inglese che fa l’infermiere che passa davanti a una chiesa e sente il suono di un organo che sembra simile al suono «di un gatto che fa le fusa». Una musica che «non aveva nulla a che vedere con gli inni deprimenti delle messe natalizie dei tempi della scuola, né con le goffe versioni del Resta con me che si era sforzato di cantare al funerale dei nonni. In questa musica c’era una fragilità, come se l’organista, anziché premere sui tasti, vi muovesse le dita sopra, sospese a mezz’aria, con la leggiadria di un burattinaio». L’infermiere, che si chiama Oscar, entra in chiesa e sente tutta la sonata fino alla fine, e alla fine, fuori dalla chiesa, conosce una ragazza che si chiama Iris che gli dice: «Se c’è una cosa che so delle chiese, è dove si trovano le uscite. È come sugli aerei. In caso di emergenza, bisogna esser pronti a scappare». Dopo un po’ arriva il fratello, di questa ragazza, che si chiama Eden e è un ragazzo elegante ma con «un che di sgraziato nel modo in cui gli cadeva il blazer; le spalle e i gomiti sporgevano da sotto il tessuto, come se qualcuno avesse gettato un lenzuolo su un tavolo capovolto». Quell’infermiere, Oscar, lavora in un ospizio che è un posto dove «tutto era insipido e sapeva di mensa», e lui si occupa, soprattutto, di un vecchio professore che «Non amava sprecare il suo tempo davanti alla tv come facevano gli altri, né passare una settimana intera a comporre un puzzle che avrebbe rivelato l’immagine di un soleggiato panorama straniero che lui non avrebbe potuto visitare perché troppo vecchio. “Non ho mai capito il senso dei puzzle”, aveva detto una volta. “C’è già l’immagine sul coperchio della scatola, dov’è il mistero?”». La ragazza che è capace di uscire dalle chiese, Iris, è una ragazza che suona il violoncello, e nel secondo capitolo l’infermiere va a sentire un concerto dove suona lei e trova il suo nome nel programma: «Stampato, sembrava strano, asimmetrico, una parola corta seguita da una più lunga, come un camion e il suo rimorchio in autostrada: Iris Bellwether»;
un po’ più avanti, questa Iris Bellwether chiede all’infermiere: «Se dovessi dire qual è la mia parola preferita della lingua inglese, – anzi, la cosa che preferisco in assoluto nel mondo intero – sai quale sarebbe?», «Quale?», gli risponde l’infermiere. «Petricore. – dice lei – Si chiama così l’odore della terra dopo la pioggia», dice. E lui le dice: «Sei troppo intelligente, per me, signorina». Qualche pagina ancora più avanti, questa signorina cambia pettinatura: «Si era tinta i capelli di nero corvino e si era fatta un taglio a caschetto, con un frangetta dritta a filo con le sopracciglia; la faceva sembrare una vera straniera, un’assistente di volo dei Balcani». Succedono un sacco di cose, nel Caso Bellwether, che, come si legge in quarta di copertina («Una storia che terrà svegli i lettori per tutta la notte»), può essere considerato anche un thriller, come si dice, perché c’è effettivamente una storia che uno si chiede fin dall’inizio come andrà a finire e alla fine lo scopre, ma i motivi per cui io l’ho letto volentieri sono principalmente due, il primo ha a che fare con le belle ragazze di Parma, che a Parma, quando una ragazza è bella, per farle un complimento, le dicono: «Sei fatta a mano», e Il caso Bellwether a me sembra così, fatto a mano; il secondo è che mi ha ricordato un libro di Viktor Šklovskij, Zoo o lettere d’amore, che è un romanzo in cui Šklovskij scrive una serie di lettere a una donna di cui è innamorato ma non le può parlare d’amore, e in una di queste lettere scrive: «Le sei del mattino. Fuori, nella Kaiserallee, è ancora buio. A te si può telefonare alle 10.30. Quattro ore e mezzo, e poi ancora venti inutili ore, ed in mezzo la tua voce. Mi è odiosa la mia stanza. Non amo la mia scrivania, sulla quale scrivo lettere, solo a te. Sono seduto qui, innamorato come un telegrafista. Sarebbe bello procurarsi una chitarra e cantare». Ecco, quell’infermiere, Oscar, è innamorato come un telegrafista, ed è bellissimo un telegrafista innamorato, secondo me.
[uscito su Libero l’11 agosto, se non mi sbaglio]