Il paesaggio dell’Illinois

mercoledì 24 Settembre 2014

foster wallace, solitudine

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A quattordici anni, sentiva che sarebbe potuto arrivare ai tornei nazionali. «Giocarmela seriamente nel circuito giovanile. Sennonché, proprio nel momento in cui stava diventando importante per me, ho cominciato a perdere colpi. Più ti spaventi, peggio giochi». E poi erano gli anni Settanta: i Pink Floyd, i bong. «A quindici anni ho cominciato a fumare un sacco di erba, ed è molto difficile allenarsi quando si fuma un sacco di erba». Ha riso. «Non si hanno tante energie».
Fu più o meno in quel periodo che i Wallace notarono qualcosa di strano in David. Faceva richieste curiose, tipo quella di dipingere le pareti della sua stanza di nero. Era costantemente arrabbiato con la sorella. A sedici anni, si rifiutò di andare alla sua festa di compleanno. «Perché dovrei aver voglia di festeggiarla?», disse ai suoi.
«David ha iniziato ad avere attacchi d’ansia alle superiori», ricorda il padre. «Io notavo i sintomi, ma aveva una conoscenza assolutamente rudimentale di queste cose. Sembrava che la depressione prendesse la forma di uno spirito maligno da cui David veniva posseduto». Sally arrivò a chiamarla «il buco nero coi denti». David si chiuse sempre più in se stesso. «Al terzo anno delle superiori passava un sacco di tempo a vomitare», ricorda la sorella. Una parete della sua stanza era coperta di sughero per attaccarci foto di campioni di tennis ritagliate dalle riviste. David appuntò al muro anche un articolo su Kafka, dal titolo LA MALATTIA ERA LA VITA STESSA.
«Non sopportavo di vedere quelle parole», mi dice la sorella, scoppiando a piangere. «Sembrava che riassumessero la sua esistenza. Non capivamo perché si stesse comportando in quel modo, e quindi ovviamente i miei genitori erano esasperati, esasperati ma per amore».
David si diplomò col massimo dei voti. A qualunque cosa fosse dovuta quella sua burrasca interiore, aveva divelto gli alberi ma era passata. Decise di iscriversi all’Amherst College, dove aveva studiato anche suo padre. I genitori gli dissero che l’autunno nelle Berkshires gli sarebbe piaciuto. Ebbe invece molta nostalgia di casa: delle fattorie e degli orizzonti piatti, delle strade che si stendevano placidamente verso il nulla. «È autunno», scrisse David alla famiglia. «Le montagne sono carine, a il paesaggio non è bello come quello dell’Illinois».

[David Lipsky, Gli anni perduti e gli ultimi giorni di David Foster Wallace, in David Foster Wallace, Un antidoto contro la solitudine. Interviste e conversazioni, traduzione di Martina Testa, Milano, minimum fax 2013, pp. 261-262]