Il libro e l’album
Uno dei libri più singolari e più belli che ho letto in questi ultimi anni, è un libretto di Patrik Ourednik intitolato Europeana (Palermo, :duepunti 2005, 150 pagg., 12 euro) che è una breve storia del XX secolo raccontata da una specie di storico con l’esaurimento nervoso, senza nessun ordine apparente, né cronologico né gerarchico: il nazismo, il femminismo, la diffusione della gomma da masticare, la psicanalisi, il fascismo, la storia della Barbie, l’eugenetica, la diffusione della cocaina, il comunismo sovietico e il modo in cui si accoppiano i protagonisti dei film sono messi uno dietro l’altro come se fossero argomenti dello stesso valore e tutti, in un certo senso, tramontati, consegnati a un passato triste e un po’ ridicolo.
In un saggio intitolato La verità dell’epoca (pubblicato sulla rivista on line di slavistica esamizdat – www.esamizdat.it) Ourendik dà qualche indicazione per capire come è venuto fuori questo libro stupefacente, e in particolare cita il seminario di Roland Barthes intitolato La preparazione del romanzo. Barthes lì si chiedeva quale fosse la forma espressiva più adatta alla rappresentazione del mondo, e metteva in contrapposizione due forme, il libro e l’album di fotografie; la prima, il libro, contiene le cose in una struttura «più o meno premeditata, in una architettura che inevitabilmente comporta già una gerarchia». La seconda, quella del tradizionale album di famiglia, «nella maggior parte dei casi plurigenerazionale», è, viceversa, secondo Barthes, una forma che rompe, disperde, nella quale l’unico elemento «che dà alla cosa un cemento, è la volontà di salvaguardare un istante, una miniatura della vita, senza che questa miniatura della vita sia considerata superiore o inferiore a un’altra».
Questi due elementi, libro e album di fotografie, si ritrovano oggi nell’Album fotografico di Giorgio Manganelli, Racconto biografico di Lietta Manganelli, pubblicato, per la cura di Ermanno Cavazzoni, nella collana Compagnia Extra della casa editrice Quodlibet (103 pagg., 14 euro).
«Questo è un libro – si spiega nella bandella – che riproduce il pacchetto di fotografie che Giorgio Manganelli conservava in casa, abbastanza disordinatamente, e che sono passate alla figlia Lietta. Sono in ordine cronologico, come in un album di famiglia, e ne percorrono la vita.
I testi che l’accompagnano sono i racconti fatti a voce su suo padre da Lietta, mentre sfogliava e riordinava le foto: la sua vita, le sue manie, le cose buffe e caratteristiche, le leggende famigliari, i luoghi d’infanzia, le insofferenze furiose, le amicizie, i suoi famosi colpi d’umore; e compongono una specie di romanzo biografico in larga parte immaginario (e in parte anche molto sincero e affettuoso) su questo grandissimo, iperbolico e spesso comico scrittore italiano».
Nonostante la risistemazione cronologica, che dà, al disordine delle 109 fotografie manganelliane, un ordine gerarchico, sono le foto stesse che tendono a uscire da questa gerarchia, tant’è vero che la figlia Lietta si diffonde, nei suoi commenti, non tanto sui momenti che uno tenderebbe a considerare più significativi, la guerra, il matrimonio, i premi letterari, i viaggi, quanto su foto e su momenti apparentemente secondari, come il caso, che vien da dire esemplare, della foto numero 62, dove si vede Manganelli che spunta dalla tenda d’ingresso di una salumeria (Commestibili, c’è scritto sopra la porta, e di fianco si riesce a leggere: olio d’oliva, carne suina fresca, insaccati misti, formaggio grasso). Ha un cartoccio in mano, e si guarda intorno come a controllare se c’è qualcuno che lo vede, e questa foto Lietta Manganelli la racconta così:
«Questa è una bellissima foto mentre esce furtivo dal salumaio, a Dogliani in Piemonte, nell’intervallo di una riunione Einaudi, dove secondo lui si mangiava troppo poco, e doveva andarsi a fare un panino, infatti si guarda in giro, «oddio se mi vedono…», soprattutto temeva ci fosse in giro Einaudi che magari gliene mangiava un pezzo, questa era una cosa che lui non sopportava, Einaudi era l’editore e il padrone, e durante i pasti allungava la forchetta nei piatti dei suoi autori per assaggiare, era cosa notoria e abituale, mio padre un giorno si è offeso mortalmente, ed è scappato. Alla ripresa della riunione, alle tre, Manganelli era scomparso, «dov’è?»; aveva preso un taxi e si era fatto portare in stazione, e con Einaudi non ha mai avuto più niente a che fare».
[Uscito oggi su Libero]