Il festival, le diete e le bretelle
Venerdì, era solo il secondo giorno del festival del quotidiano la Repubblica e io, devo dire, ho già cominciato a far fatica
Anche perché sono dovuto andare anche a Bagnacavallo, a un altro festival, un ex festival dell’Unità che adesso si chiama Festa della politica, allora è andato tutto un po’ di corsa, nella giornata di venderdì, secondo giorno del festival del quotidiano la Repubblica.
Al mattino sono andato a un incontro con Carlo Petrini, quello di Slow foood, e Petrini ha detto che lui non lo sa, cosa avrebbe pensato suo nonno della società in cui viviamo, che è una società dove si spende più per dimagrire che per mangiare.
E poi ha detto una cosa alla quale non avevo mai pensato, che quello che decidiamo di mangiare, è un atto politico, e a pensarci mi è venuto da dargli ragione.
Dopo, non c’entra niente, ma in centro, a Bologna, in questi giorni che c’è il festival del quotidiano La Repubblica, si vedono un sacco di bretelle.
Anche il giornalista Romagnoli, che parla di bagaglio a mano, ha le bretelle. E fa l’elogio, praticamente, della sobrietà. Lui per esempio dice che i libri, non li conserva, li lascia in ascensore. Ha una ventina di libri, nel suo appartamento, i dieci libri della sua vita, per così dire, e i dieci che deve leggere, che poi quando avrà finito di leggerli li lascerà in ascensore.
Quando va in America, che lui ha una casa, in America, che quando ha cominciato a cercarla ha letto un annuncio, sul giornale, forumlato così: «Terrific apartment with a dramatic view» («Gli americani, – ha detto Romagnoli, – sono ottimisti fin dal vocabolario»), quando va in America, Romagnoli, siccome là nell’appartamento che ha lui ha tutto quel che gli serve, e il dentifricio e lo spazzolino glieli danno in aereo («Che aerei prende?» ho pensato), quando va in America lui prende su il bagaglio a mano ma vuoto, perché non lo vedano che va in America senza neanche il bagaglio a mano.
Che come idea è bella, un’idea francescana del giornalismo, solo che stona con le bretelle, che, viste su Romagnoli, sembrano un accessorio, non so come dire, vezzoso, si vede che quelle braghe lì stano su anche senza bretelle.
Dopo mi chiama Andrea Marcernaro, che è anche lui a Bologna per Panorama, e prendiamo un caffè insieme e lui mi dice che è molto contento, di esser qui a Bologna, che gli dispiace solo per le sue due piante di albicocche, che lui è tutto l’inverno che le cura e sabato secondo secondo lui son maturi i frutti e lui non è lì a guardare.
Dopo è già ora di andare a Bagnacavallo e andiamo in macchina assieme a Paolo Mieli che deve moderare l’incontro tra Fini e Veltoni e sull’autostrada, su un cavalcavia, io vedo scritto, in rosso: «Bimba, dammi un’altra possibilità».
Poi, adesso io di quel dibattito lì tra Veltroni e Fini a rigore non dovrei dire niente, che non c’entra niente, con il festival del quotidiano la Repubblica, solo che l’altro giorno, qui sul foglio, io ho scritto un pezzetto dove dicevo che la lingua, con l’uso, si frusta, e che certe cose che le prime volte che le abbiamo sentite ci hanno fatto molto effetto, per esempio il fatto che l’ideogramma cinese che vuol dire crisi vuol dire anche opportunità, quando le sentiamo dire per la centesima volta ci vien da pensare «Che due maroni, lo sappiamo che che l’ideogramma cinese che vuol dire crisi vuol dire anche opportunità».
Allora, anche se del dibattito tra Fini e Veltroni non dovrei dire niente, non me la sento di non dire che alla fine, richiesto da Mieli sulle possibili uscite dalla crisi, Veltroni ha detto «A me vien da pensare che in cinese, l’ideogramma cinese che vuol dire crisi, vuol dire anche opportunità» e poi Fini, quando tocca a lui rispondere a questa domanda dice: «Bella quella cosa lì dell’ ideogramma cinese che vuol dire crisi e vuol dire anche opportunità, non la sapevo».
Dopo l’incontro tra Fini e Veltroni finisce, io leggo il mio discorso, torno a Bologna, riprendo, in stazione, la mia bicicletta, arrivo in piazza Maggiore, ci son duemila persone sedute che guardano un documentario sul quotidano la Repubblica: Ezio Mauro, su uno schermo gigante, che, con una camicia lilla con le maniche abbottonate dice che lui, quando fan degli sbagli, se li dimentica subito perché gli sbagli fanno male.
E da un chiosco, lì vicino, cioè chiosco, sì, una specie di chiosco elettronico con le vignette di Ellekappa, di Bucchi, di Altan, da lì viene una musica che si sente fin qua, ed è una canzone di Nada, Amore disperato, si intitola, se non mi sbaglio.
E poi vado in piazza Santo Stefano e c’è pienissimo, e la gente chiacchiera, parla, sembra un po’ anche questa una festa dell’unità, e là in fondo, su due maxi schermi, si intravede Umberto Eco che parla con Bartezzaghi, e in fondo, dove sono io, quando Eco finisce un discorso tutti smettono un attimo di parlare e applaudono.
E vorrei sentir Bergonzoni, che c’è dopo Eco, ma sono stanchissimo, e riprendo la mia bicicletta, torno a casa, come sono a casa vado sul sito del quotidiano la Repubblica e c’è un titolo, grande: «Eco e Bartezzaghi divertono». E io penso «Va be’, andiamo a letto».
[uscito ieri sul Foglio]