Il contagio

domenica 30 Settembre 2012

Martedì sera, quando sono entrato all’arena Parco Nord, a Bologna, la prima cosa che ho visto è stato un camion con sopra disegnato un maiale e di fianco la scritta «Salumi Ferrarini, via Canneto Nord 656/A, Modena».
E dietro c’era un tendone bianco e verde con su scritto, in rosso: «Piadina con porchetta calda e verdure».
E, più a destra, sempre in rosso: «Panini caldi con wurstel e verdure».
Eran degli anni che non andavo a un concerto.
La prima cosa che ho fatto, dopo aver visto il camion, ho cercato un bagno.
Ne ho trovati due, subito, lì di fianco, con una fila discreta, una decina di persone per bagno; ho scelto la fila che mi è sembrata più corta e mi son messo lì tranquillo a aspettare.
Dopo dieci minuti una ragazza di fianco a me ha detto «Ma ti pare due bagni? Ma mettine cinquanta, di bagni».
Il gruppo che suonava, secondo il mio amico con cui ero, facevan delle canzoni tristissime; lui li ascoltava sempre nei periodi tristi, praticamente li ha ascoltati ininterrottamente da quindici anni, mi ha detto.
Si chiamavano Radiohead.
I bagni eran della ditta Tailorsan (concessionaria di zona: Modena Spurgo srl), e eran quelli che si usavano nei cantieri, che si faceva la pipì al buio.
Quando è cominciato il concerto, dall’alto del posto da dove lo ho visto, dall’altra parte rispetto all’ingresso ce n’erano una marea, di bagni.
Tipo cento, secondo me.
Non ci andava nessuno.
Io ero proprio sopra il tendone del Posto medico avanzato numero 2, il mio amico han contato sette feriti, che han portato dentro durante il concerto, non eran feriti, era gente che era stata male.
C’era della gente che girava nell’oscurità e diceva «Birre fresche, birre fresche».
Anche i gelati, vendevano anche i gelati.
E le sigarette.
Appena entrato incontravo un mio amico che si chiamava Matteo, poi dopo basta, solo lui.
Ci saran state ventimila persone, ma educate.
Avevo preso su dei libri, dentro la borsa, che avevo pensato “Se mi annoio mi metto a leggere”, solo che poi, non c’era luce.
Una volta Ghirri, il fotografo, aveva accompagnato sua figlia a un concerto di Prince, a Modena, allo stadio, e quando era arrivato la sua prima reazione era stata «Zio canta, che spreco di luce».
Zio canta non l’aveva scritto, me l’immagino io.
Vivevamo di luce riflessa, che dal palco era poca.
Il gruppo, quel che sapevo, che loro a un certo momento si erano accorti che stavan diventando famosi, avevano avuto l’impressione che sarebbero diventati i nuovi U2, han cambiato modo di suonare, di cantare, di vestirsi, han cambiato tutto. Avevan preso una paura.
Le luci più diffuse eran le luci degli smartphone che filmavan dal prato, che a guardare da dove ero io c’era della gente che era stata tutto il concerto con il braccio per aria, tutti dei piccoli cameramen per delle televisioni personali che eran tantissime.
Dopo ho cambiato posto, alla fine, e vicino a dov’ero finito c’era un ragazzo che ballava e una sua amica gli faceva le foto, ripetutamente, e dopo insieme guardavan le foto e lui rideva, e dopo ballava, e lei gli faceva le foto e loro le guardavano e ridevano, e il concerto era come se non gli interessava.
Il concerto era lungo, i cantanti sembravano persone gentili.
Quel che dicevano, io non lo capivo, parlavano inglese, ma non come lo parliamo noi che quello lì si capisce, parlavano inglese come lo parlan gli inglesi che quando parlano non si capisce niente, di quello che dicono.
La canzone più famosa, per esempio, si intitola Creep, che io ho chiesto al mio amico, non lo sapeva, cosa significava.
C’è una traduzione, in rete, vorrebbe dire «Persona sgradevole».
Che praticamente c’è uno che dice, nella canzone, cito a memoria (dalla traduzione): «Tu sei così bella, mi piacerebbe molto, non so, vedi tu, però del resto io sono così una persona sgradevole, lasciamo ben perdere».
Non l’han mica fatta, martedì sera. Gli ricordava forse gli U2, quel periodo lì che stavano per diventare come gli U2.
Che a me piace molto, evitare il contagio, mi sembra sensato.
E, un’ultima cosa, quando avevan finito, uscivan dal palco uno alla volta, salutavano e uscivano, uno alla volta, e gli altri intanto continuavano a suonare, la musica continuava, e quando usciva l’ultimo, uguale, la musica continuava, e uno si chiedeva «Ma è stato un imbroglio?», e era bello anche quello.

[uscito ieri su Libero]