I piedi

mercoledì 10 Febbraio 2010

stalin

“Tutta la Russia è il nostro giardino”, griderà nel Giardino dei ciliegi čechoviano l’eterno studente Petja Trofimov alla giovane Anja, di cui è innamorato, per convincerla che l’attaccamento morboso a un luogo è rinuncia e chiusura mentale, sul fronte antropologico-esistenziale prima ancora che ideologico-sociale. La terra russa è stata počva (suolo) prima che stato e il piede nudo del pellegrino, del vagabondo, dell’evaso dalla Siberia, del condannato alla deportazione, del santo pazzo o del folle nel nome di Cristo l’ha calpestata cercandone il contatto fisico per trovare la strada verso la santità. Una percezione fisica del rapporto con la propria terra che avrebbe fatto scrivere a Vladimir Nabokov di un suo personaggio: “Da tempo aveva voglia di esprimere in qualche modo che lui la Russia la sentiva coi piedi, che avrebbe potuto toccarla e riconoscerla tutta con le piante dei piedi come un cieco con il palmo delle mani”.

[Gian Piero PIretto, Gli occhi di Stalin. La visuale sovietica nell’era staliniana, Milano, Cortina 2010, p. 32 ]