I nomi
Dopo, ci siamo quasi, ancora una cosa sui nomi, che i nomi, nel Morgante di Pulci, come, in generale, nelle storie di Carlomagno, a me sembrano bellissimi, e strani molto, c’è un passaggio dell’introduzione di Cavazzoni all’Orlando furioso dove si dice che i nomi, Mandricardo, Turpino, Gradasso, Rodomomonte, Sacripante, Rinaldo, Ferraù, Ruggiero, Frontino, Baiardo, Zerbino Brigliadoro, e anche l’ippogrifo e la Durindana, dentro i nomi hanno tutti almeno una erre, «la erre rumorosa e ruggente di cui quasi tutti i cavalieri son dotati, a indicare la loro natura ferrigna» , scrive Cavazzoni, l’unico senza erre è Astolfo, e, secondo Cavazzoni, Astolfo come cavaliere è un’anomalia, più «evanescente e volatile» degli altri, e non è un caso, secondo Cavazzoni, che sia proprio lui a montare sull’ippogrifo e andare sulla luna e trovarci
Le lacrime e i sospiri degli amanti,
l’inutil tempo che si perde a giuoco,
e l’ozio lungo d’uomini ignoranti,
vani disegni che non han mai loco,
i vani desidèri sono tanti,
che la più parte ingombran di quel loco:
ciò che in somma qua giù perdesti mai,
là su salendo ritrovar potrai.
ma questo è l’Orlando Furioso e viene dopo, invece nel Morgante, i nomi, ci son dei nomi, c’è un gigante che si chiama Marcovaldo, un altro, compagno di Morgante, si chiama Alabastro, c’è un re che si chiama Manfredonio, c’è un pagano che si chiama Fieramonte, che quando muore, e muore subito, a uno gli dispiace, un nome così bello, e c’è il capitano di Gano, che è Gano di Maganza, il traditore, e il suo capitano si chiama Magagna, che è un nome meraviglioso, secondo me, e a me piace moltissimo il fatto che, se il cavallo di Rinaldo si chiama, come sappiamo, Baiardo, il cavallo di Gano si chiama Mattafellone, che può essere solo il cavallo di un cattivo, mi sembra, e anche in questo mi sembra di vedere un legame con le idee di Chlebnikov, che credeva che Puškin portasse, nel suo nome, la sua natura pacifista (Puški significa, in russo, cannoni, e la n finale starebbe per net, no) e Lenin, nel suo, la sua natura volitiva (Len’, in russo, significa pigrizia, e la n finale starebbe sempre per net, no), e mi torna in mente Dego, quando parla dei personaggi del Morgante che sono più assetati di parole, che di sangue, in un universo dove, però, le parole, sono la sostanza delle cose, se così si può dire, che è poi, in generale, l’universo della letteratura, e credo non sia un caso che, nella letteratura russa dell’otto e del novecento, i personaggi con nome e patronimico uguale, Maksim Maksimyč di un eroe dei nostri tempi di Lermontov, Akakij Akakevič del Cappotto di Gogol’, Anton Antonovič del Revisore di Gogol’, Il’ja Il’ič Oblomov dell’Oblomov di Gončarov e Poligraf Poligrafovič di Cuore di cane di Bulgakov sono tutti personaggi comici, sono tutti un po’ delle vittime, non sono gli eroi, per essere eroi, sia pure dei nostri tempi, c’è bisogno di un nome e patronimico come quelli di Pečorin: Grigorij Aleksandrovič; ecco: di un Grigorij Aleksandrovič ci si può innamorare senza vergogna, così come di un Rinaldo o di un Ronaldo, non di uno che, come Gano, ha un capitano che si chiama Magagna e un cavallo che si chiama Mattafellone, né ci si può innamorare di un Morgante, di un Margutte o di un Marcovaldo, che, hanno, tra l’altro, come Akakij Akakevič e Poligraf Poligrafovič, degli interessi tutti diversi, cioè che, ad innamorarsi, mi sembra non ci pensino minimamente.
E, a proposito di nomi e di innamoramenti, sul finire del cantare secondo, quando Orlando va da Manfredonio, che è innamorato di Merediana e, di lei, dice:
E veramente è come ella si chiama,
perché di mezzodì par proprio un sole.
Io innamorai di questa gentil dama,
non per vista, per atti o per parole,
ma per le sue virtù ch’udi’ per fama,
ovver che ‘l mio destin pur così vuole;
e da quel giorno in qua ch’amor m’accese
per lei son fatto e gentile e cortese (II, 68).
E con questo riferimento a un altro nome così bello, Merediana, io, così, più o meno, ho raccontato, in modo, mi rendo conto, abbastanza disordinato, i primi due cantari, oltre a varie cose qua e là, sempre in modo abbastanza disordinato e adesso posso scegliere: o vado avanti e racconto gli altri ventisei cantari, il che, considerando che i primi due li ho raccontati in 150 pagine, mi prenderebbe, se non sbaglio i conti, 2.100 pagine, o mi fermo qui e vi lascio alla lettura diretta di alcuni dei cantari del Morgante, i primi due e quelli in cui compare Margutte, magari, che son stati pubblicati anche per conto proprio, in un’edizione chiamata Morgante minore, o Marguttino, e contrapposta all’edizione definitiva, quella completa, che comprende sia i primi 23 canti, pubblicati nel 1478, sia gli altri 5 usciti nel 1483, conosciuta come Morgante maggiore.