I misteri dell’etrusco
Qualche anno fa, il periodo che mia figlia faceva le elementari, quando andavo a prenderla a scuola, al lunedì, arrivavo di solito un quarto d’ora prima e c’erano sempre due o tre genitori di bambini che facevano le elementari con mia figlia che parlavano delle partite del campionato di calcio del giorno prima e io mi mettevo a ascoltare e mi stupivo della cura e dell’attenzione con le quali questi genitori avevano seguito la giornata di campionato, della profondità dell’analisi tecnica, tattica, strategica e psicologica e degli sviluppi che lì, nel cortile della scuola Armandi Avogli, a Bologna, sembravano certi, inevitabili, in virtù del tono quasi scientifico di quelle conversazioni che sentivo e che si ripetevano, pensavo, tutti i lunedì all’uscita di tutte le scuole di tutt’Italia, e mi ero detto che, se una parte anche minima di questa intelligenza e di questa capacità di analisi fosse dirottata, per dire, sullo studio della lingua etrusca, probabilmente nel periodo di tempo corrispondente a un girone di ritorno si sarebbe trovata la risposta a molti misteri che, credo, da secoli tormentano i linguisti di mezzo mondo. Adesso, son passati quattro anni, mia figlia fa lo scientifico e io, in questi quattro anni, non ho dato nessun significativo contributo allo studio della lingua etrusca, mi sono invece rimesso a seguire con una certa continuità il campionato di calcio. La scusa è un libro che sto provando a scrivere, ma il motivo vero credo che sia che, a me, il calcio piace più della lingua etrusca; ho dei gusti così, un po’ alla buona, nonostante ogni tanto me ne dimentichi, e la nuova serie di pezzi che scriverò per La verità, è una serie che parla delle partite di calcio più belle che ho visto nella mia vita, e son proprio curioso di vedere cosa salterà fuori e comincio da una partita che ho visto male e che è finita in un modo orribile, per me. Io, essendo nato a Parma, io tengo per il Parma, e ho cominciato a tenere per il Parma nel 1970, quando avevo sei anni e il Parma giocava in serie D, nel girone B, e i suoi principali avversari erano il Crema, la Gallaratese, la Pergolettese e la Cremonese.
Ho cominciato a andare allo stadio qualche anno dopo, quando il Parma era in serie C, e i ricordi più vividi, della mia esperienza di tifoso del Parma, hanno a che fare col freddo. Ho preso tanto di quel freddo, allo stadio Tardini di Parma, e ho l’impressione che, nei miei periodici riavvicinamenti al calcio, oltre al fatto che mi piace, c’entri anche il desiderio di dare un senso a tutto quel freddo e a quella nebbia e a tutte quelle sconfitte, perché io, devo dire, ho elaborato una teoria che a me sembra che, il senso del calcio, non sia vincere, ma perdere. Perché vincere, io mi ricordo l’Italia, i mondiali, le due volte che ha vinto, la gente sopra le macchine, con le bandiere, con le facce pitturate di blu, o di tricolore, a gridare, a suonare il clacson, a bere, non so, io non lo capisco tanto bene, che gusto c’è, a vincere. Secondo me, mi sbaglierò, ma quando perdi, magari quattro a zero, o cinque a uno, e nell’andare a casa guardi per terra e vedi tutte le foglie, tutte le crepe che ci son sull’asfalto e ti vien da pensare a tutto quello che non va mica bene nella tua vita, a tutte le cose che ti eri ripromesso che le facevi e poi non le hai fatte, tutto il freddo che hai preso, ecco, quei momenti lì, che te ti chiedi «Ma che vita sto facendo?», secondo me son momenti che hanno più senso, di quando sei in centro, imbottigliato sopra una macchina, che canti l’inno nazionale con una bandiera in mano e la faccia dipinta di blu, o di tricolore. Il tennista Andre Agassi, in un libro che si intitola Open, racconta cos’ha pensato dopo che ha vinto il primo Wimbledon della sua vita (la traduzione è di Giuliana Lupi): «Ho la sensazione di essere stato messo a parte di un piccolo, ignobile segreto – vincere non cambia niente. Adesso che ho vinto uno slam, so qualcosa che a pochissimi al mondo è concesso sapere. Una vittoria non è così piacevole quant’è dolorosa una sconfitta. E ciò che provi dopo aver vinto non dura altrettanto a lungo. Nemmeno lontanamente». Ciò detto, io non parlerò solo di partite del Parma, e non parlerò solo di sconfitte, e la partita da cui voglio cominciare è una partita del Parma ma non è una partita in cui il Parma ha perso. No. Ha vinto. Però non ha vinto. Una partita strana. Era il febbraio del 1985, quell’anno il Parma giocava in serie B e quel giorno era ultimo in classifica, e giocava contro il Bari, che era secondo in classifica, e apparteneva a Matarrese, che era il fratello del Matarrese che era presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio, se non ricordo male, e quando avevan cominciato a giocare, Parma e Bari, il Parma dopo un po’ aveva fatto gol (Pin), poi era finito il primo tempo, era scesa un po’ di nebbia, io ero in curva nord, non si vedeva tanto bene dall’altra parte, si sentiva però, e a un certo punto si era sentito gridare, e dopo qualche secondo era arrivata la notizia che il Parma aveva fatto il secondo gol (Lombardi), e dopo un po’ si era sentito gridare, e dopo qualche secondo si era sparsa la notizia che il Parma aveva fatto il terzo gol (Berti), e dopo un po’, si era sentito gridare ancora, e tutti avevamo pensato che il Parma aveva fatto il quarto gol invece dopo qualche secondo si era sparsa la notizia che l’arbitro, Pezzella da Frattamaggiore, aveva sospeso la partita all’ottantasettesimo, a tre minuti dalla fine, per nebbia. Allora noi, che eravamo in curva, eravamo scesi dalla curva ma non eravamo andati a casa, eravamo rimasti nel piazzale a vedere cosa succedeva. Io mi ero messo a parlare con un poliziotto gli avevo detto «Ma secondo lei, è normale fare delle cose del genere?». E lui, che era un signore pelato, che mi sembrava pacato, ragionevole, ha scosso la testa ha detto qualcosa del tipo «Lascia perdere». Poi, tutto d’un tratto, deve aver ricevuto un ordine, ha abbassato il casco, mi ha detto «Vai via». Io, non davo fastidio a nessuno gli ho detto «No, non vado via, non do fastidio a nessuno». Lui mi ha detto «Vai via». Io gli ho detto «No, non vado via». Lui ha afferrato il manganello, mi ha dato una manganellata di punta sulla pancia. Io, sono andato via. E nell’andare via pensavo Che cose interessanti succedono, allo stadio Tardini di Parma, e ero quasi contento. La partita l’hanno rifatta la settimana dopo, ha vinto il Parma uno a zero (gol di Facchini). Ecco. Alla prossima.
[Uscito ieri sulla Verità]