I matti
[che poi è questo:
I repertori dei matti delle città
di Bologna, Milano, Torino,
Roma, Parma, Cagliari, Andria e Livorno
Qualche mese fa ero a Genova a fare un seminario di letteratura, e a me a Genova, non so perché, i genovesi, hanno un modo di parlare, mi sembrano tutti un po’ squinternati e poi, tra l’altro, quando vado a Genova mi vien sempre in mente un romanzo di Matteo Galliazzo che si doveva intitolare Il rutto della pianta carnivora, bellissimo titolo, secondo me, che però poi gliel’hanno cambiato è diventato Il mondo è parcheggiato in discesa, che mi sembra un titolo bello anche quello, e è un romanzo che si svolge a Genova e si racconta che i genovesi, quando hanno aperto il MacDonald’s, il ristorante, ai ragazzi che stavano alle casse gli avevan dato le istruzioni che danno a tutti i ragazzi che stanno a tutte le casse di tutti i MacDonald’s del mondo cioè di sorridere, e i genovesi, racconta Galliazzo, questa cosa che i ragazzi che stavano alle casse del MacDonald’s sorridevano non è che gli piaceva tantissimo, ai genovesi: «Ben ma, – pensavano i genovesi, – perché sorridono, prendono per il culo?».
Allora sembra che dalla sede centrale del MacDonald’s, che dev’essere negli Stati Uniti vicino a Chicago, per la prima volta nella storia del MacDonald’s abbiano dato il permesso agli impiegati del MacDonald’s di Genova di non rispettare l’istruzione di sorridere ai clienti, anzi, di seguirne una nuova fatta esclusivamente per loro, di non sorridere, ai clienti.
Allora forse anche per quello, quando facevo quel seminario di scrittura per cui ero andato a Genova, uno dei testi che ho usato nel seminario è stato Il repertorio dei pazzi della città di Palermo, di Roberto Alajmo, e dopo che l’ho letto ho detto ai ragazzi che c’erano lì: «Ma perché non fate il Repertorio dei pazzi della città di Genova?».
Dopo poi loro non l’han fatto, ma a me è rimasto in testa quel libro lì di Alajmo che è proprio un po’ un elenco di matti raccontati in piccole storie come questa:
Uno era il professore Ascoli, medico di fama. Quando si trovava ad affrontare un caso clinico particolarmente delicato, gli capitava di sospendere la visita, lasciare il paziente in mutande nel suo studio e andare a fare una passeggiata in bicicletta per riuscire a riflettere meglio. Poi tornava e non sbagliava mai una diagnosi.
Oppure questa:
Uno, la sera della riapertura del teatro Massimino, mise lo smoking e andò. L’Aida era trasmessa in diretta alla radio; e lui, dopo essersi sistemato nel suo palco, tirò fuori una radio e si mise l’auricolare per ascoltare via radio l’opera che aveva davanti agli occhi.
Oppure questa:
Uno abitava a Sn Giuseppe Jato e andava ogni giorno a Partinico per cantare Stasera mi butto alle liceali che uscivano da scuola.
O questa:
Uno era l’attore Carlo Cecchi. Quando la prova generale di Amleto al teatro Garibaldi andò secondo lui male, si rifiutò di riconoscere le facce degli amici che andavano a fargli i complimenti in camerino: «Lei chi è? Io non la conosco».
O questa:
Uno si chiamava Ettore, e stava ore e ore in gabinetto. Fino a quando la madre non gli urlava: «Ettore, scippati di’ddocu». Poi diventò grande e sua madre si stancò di gridare da dietro la porta. Ettore però non sapeva mai calcolare il tempo giusto per stare in gabinetto. Quindi dopo un poco si faceva prendere dall’ansia ed era lui a chiedere da dentro: «Mamà, mi scippo sì o no?»
Delle storie così.
Ecco, quella volta lì di Genova, quando ho finito che poi son tornato a Bologna, io abito a Bologna da quindici anni ma sono di Parma, e anche se Parma e Bologna sembrano molto simili sono molto diverse, secondo me, e una volta, un paio d’anni fa, quando una signora, in un liceo bolognese, mi ha presentato come uno scrittore di Bologna a me è venuto da specificare che sono di Parma e mi è venuto da dire che vivendo a Bologna essendo di Parma mi sento un po’ come il protagonista di quella canzone di Sting, An englishman in New York, e quando sono tornato a Bologna da Genova, a guardarmi intorno a Bologna mi è venuto da penare che anche a Bologna, c’era pieno di squinternati, e mi sono chiesto «Ma io, perché non faccio il Repertorio dei matti della città di Bologna?».
E dopo quando sono andato a Milano, da quelli di Marcos y Marcos, intanto che andavo in metropolitana mi guardavo intorno e pensavo che anche a Milano, c’era pieno di squinternati, e che si poteva fare anche il Repertorio dei matti della città di Milano e ho proposto la cosa alla Marcos y Marcos, e gli ho citato un libro che so che a loro piace molte piace molto, Le opere complete di Learco Pignagnoli, un libro di Daniele Benati, in particolare l’opera numero 13, quella che fa così:
Opera numero 13.
Tranne me e te, tutto il mondo è pieno di gente strana. E poi anche te sei un po’ strano.
E ci è venuto in mente che ogni città potrebbe avere il suo repertorio dei matti e abbiamo trovato un altro libro, sempre a cura di Roberto Alajmo, che si chiama Repertorio dei pazzi d’Italia dove nell’introduzione Alajmo dice che «Forse ogni città dovrebbe possedere un repertorio dei pazzi, così come di ogni città esistono le guide dei ristoranti e degli alberghi».
E allora abbiamo chiesto a Alajmo la sua benedizione, e Alajmo ci ha dato la sua benedizione, e abbiamo cominciato dei seminari ai quali hanno partecipato quelli che hanno scritto i Repertori e abbiamo fatto Il Repertorio dei matti della città di Bologna, il Repertorio dei matti della città di Milano, il Repertorio dei matti della città di Torino, il Repertorio dei matti della città di Roma, il Repertorio dei matti della città di Cagliari, il Repertorio dei matti della città di Parma, il Repertorio dei pazzi della città di Andria e il Repertorio dei matti della città di Livorno e faremo Il repertorio dei matti della città di Padova, di Reggio Emilia, di Lucera, del Canton Ticino, di Empoli e di Genova (finalmente), forse, e daranno vita, questi seminari, ognuno a un libretto, come una guida dei ristoranti o degli alberghi, che saranno però anche dei piccoli libretti di storia, una storia laterale e insignificante ma che potrebbe essere anche bella, ci sembra. E i partecipanti a questi seminari ci sembra che si debbano fare un lavoro difficile, rinunciare, nella propria scrittura, alla propria scrittura, fare un passo indietro rispetto al proprio stile e scrivere in coro, se così si può dire, raccontando, col distacco impersonale dei cronisti medievali, le storie che si raccontano in città sui matti, cioè trasformarsi in cronisti medievali ma della contemporaneità.
Il primo repertorio che abbiamo fatto è stato quello di Bologna, e uno dei primi matti che saltato fuori è stato questo:
Uno era il migliore amico di Michael Jackson. Lo aveva conosciuto quando Michael Jackson aveva dovuto rifare il bagno nella sua casa di Parigi e si era rivolto alla Manutencoop. La Manutencoop aveva mandato lui, che era il fontaniere di fiducia, e così lui era partito per Parigi con i suoi attrezzi da fontaniere e un sacchetto di tortellini. La casa di Michael Jackson era piena di cose meravigliose che Michael Jackson gli aveva fatto vedere; poi Michael Jackson gli aveva chiesto di trasformare il gabinetto in modo che venisse su dal pavimento, premendo un tasto, solo nel momento del bisogno poi, finito il bisogno, premendo un altro tasto tornasse giù e sparisse sotto le piastrelle. A un certo punto si era fatta l’ora di mangiare, e lui aveva tirato fuori i suoi tortellini da cuocere; Michael Jackson aveva il suo mangiare speciale, ma quando aveva visto i tortellini gli aveva chiesto di fare cambio e gli erano piaciuti da matti. A quel punto era nata l’amicizia e così, entrati in confidenza, avevano cominciato a chiacchierare. Poi lui si era messo a cantare e a suonare, così, tanto per passare il tempo, e Michael Jackson era rimasto così colpito che gli aveva chiesto per favore di insegnargli a cantare e a suonare, perché – aveva detto – era molto meno bravo di lui.
Che, per conto mio, era un matto che andava benissimo perché, oltre ad essere memorabile (io ogni tanto songo il gabinetto di Michael Jackson, che viene su dal pavimento, premendo un tasto, solo nel momento del bisogno), era un matto di Bologna che era fatto con le parole di Bologna, come fontaniere, che è il modo bolognese di dire idraulico, o Manutencoop. Per conto mio, si potrebbero citare tutti, i matti bolognesi e anche quelli delle altre città, per questioni di spazio ne cito altri tre, questi qua:
Uno aveva fatto un incidente stradale mentre svoltava a sinistra, da via Matteotti in via Tiarini. Un motorino era andato a sbattergli sulla fiancata e gli avevano dato un concorso di colpa. L’assicurazione lo aveva retrocesso dalla classe uno alla classe cinque e lui ci era rimasto così male che per qualche settimana non era uscito con l’automobile. Poi si era detto che non poteva farne a meno, ma che non avrebbe mai più svoltato a sinistra. Ogni volta che doveva andare in un posto studiava meticolosamente l’itinerario in modo che potesse raggiungere la meta solo svoltando a destra. In breve tempo capì che poteva arrivare ovunque, al prezzo di dover fare lunghi giri, a volte partendo in direzione opposta alla meta, per poi aggiustarla a destra, poi a destra, poi ancora a destra, ma poi alla fine ci arrivava lo stesso. Dopo settimane di studio giunse alla conclusione che ogni punto di Bologna era raggiungibile da destra, tranne piazza Roosevelt.
C’era uno che fingeva di essere suo fratello gemello. Se per caso incontrava qualche suo conoscente per strada che lo salutava lui gli rispondeva stupito ‘mi scusi signore ma io non la conosco forse si confonde con mio fratello gemello’ e il conoscente allora prontamente si scusava imbarazzato dicendo che la somiglianza era davvero notevole.
Uno era un operaio che lavorava a giornata, quando lo chiamavano dal comune o da qualche azienda privata, e quando non lavorava faceva il giro delle osterie dove spendeva i pochi soldi che la moglie, donna di una bruttezza raccapricciante, gli lasciava in tasca. Un giorno era morto, nel suo letto, ma mentre i becchini stavano trascinando il feretro giù per la stretta scala a chiocciola della mansarda, uno era inciampato, lasciando cadere il sacco dall’interno del quale il morto aveva ripreso a dare inequivocabili segni di vita. Aveva vissuto poi altri tre anni, ed era morto di nuovo, stavolta in tinello mentre leggeva il giornale. Ai nuovi becchini la moglie si era allora raccomandata “fate bene attenzione giù per la scala, ché si scivola”.
Quando è uscito, nel maggio del 2015, Il repertorio dei matti della città di Bologna è uscito insieme al Repertorio dei matti della città di Milano e una delle cose alle quali non avevamo pensato e che ci hanno un po’ sorpreso è stato il fatto che a Bologna e a Milano c’era un modo abbastanza diverso, di essere matti.
I matti bolognesi, a giudicare dal nostro piccolo osservatorio, facevano spettacolo della propria stravaganza, e il luogo in cui sono principalmente ambientate le avventure dei matti bolognesi è il bar, mentre il luogo principale dei matti milanesi è la metropolitana, che è anche quello un luogo pubblico ma più solitario, per così dire e a Milano, un po’ più che a Bologna, hanno dato materiale al nostro repertorio i litigi condominiali.
Vorrei finire questo primo pezzetto con un po’ di matti milanesi e, in particolare, con uno un po’ diverso dagli altri, che sono tutti diversi tra di loro ma ce ne sono alcuni che sono più diversi.
Quelli meno diversi sono questi:
Uno era un ragioniere in pensione che aveva deciso di ammazzare il cane perché non abbaiava più al postino.
Uno abitava a Lambrate e considerava il suo quartiere il più bello del mondo. La gelateria più buona? A Lambrate. La birra? Solo al birrificio di Lambrate. La pasticceria siciliana migliore? Quella di Lambrate. Quando gli capitava di passare delle serate in un quartiere diverso, magari in Bovisa, si lamentava dell’enorme distanza da casa. Un tempo era stato fidanzato con un ragazza che prima viveva vicino a lui e poi si era trasferita al gallaratese ma la storia finì presto perché lui non sopportava le relazioni a distanza.
Un barbone senza gambe camminava sulle protesi, andava ad un angolo di via della Moscova, si toglieva le protesi e faceva l’elemosina. Un giorno, verso mezzogiorno, quando si era rimontato le protesi ed era andato al bar a mangiarsi un panino, questo barbone si è trovato davanti un tizio che diceva di avergli dato una moneta dieci minuti prima, quando lui non aveva le gambe. Come è possibile, diceva questo tizio, che lui prima non aveva le gambe, e ora al bar però le gambe ce le aveva? Si sentiva truffato, diceva il tizio, dal peggior truffatore, da uno che non aveva le gambe solo quando gli faceva comodo e doveva prender dei soldi, ma che poi, quando c’era da mangiarsi i panini, le gambe gli spuntavano fuori magicamente, e andava a spasso come tutti gli altri.
Uno è un cantante improvvisato che si esibisce nei vagoni della metro. Trascina con sé un vecchio amplificatore a batterie, che gli serve per collegare il microfono e per lanciare ad alto volume le basi per il karaoke. Ha un repertorio fatto interamente di canzoni italiane dimenticate da tutti, tra le quali spiccano alcune gemme del Toto Cutugno minore. Saluta sempre il pubblico con una formula obbligata: “Ciao Milano!”, e poi comincia a cantare. La sua voce non è granché, per cui cerca di ingraziarsi i passeggeri con delle mosse un pò avventate da animale da palcoscenico. Urla, ad esempio, “eeeh… sì, sì”, tra le strofe e il ritornello, come farebbe Vasco Rossi; oppure, mentre fa una specie di acuto, s’inginocchia sul piancito, portandosi alla bocca il microfono con entrambe le mani. Una volta lo hanno visto persino improvvisare alcuni passi di lapdance mentre si reggeva agli appositi sostegni. Fa tutto questo come prendesse le distanze da se stesso, senza convinzione. Quando ha finito, prova a raccogliere qualche spicciolo in fretta e furia, come se non vedesse l’ora di scappare; ma resta sempre a mani vuote. Si rivolge allora ai passeggeri dicendo: “Fatemi almeno un applauso, me lo sono meritato”, ma siccome nessuno gli dà retta, se ne va via scuotendo la testa e ammettendo a se stesso: “No, non me lo sono meritato”.
Uno sulla circolare destra aveva detto una volta rivolto ai passeggeri stranieri: “Ma tornatevene in Burundi, cosa credete che sono come voi, io qui ci sono nato, nella Grande Mela”.
Una era una ragazza arrivata a Milano da Ronchi dei Legionari nel 2000 per lavorare in una multinazionale con sede in centro.
Era arrivata con una Polo Volkswagen che gli aveva comperato il padre per la laurea; non conosceva le strade di Milano, ma visto che aveva la macchina non voleva prendere i mezzi.
Quando doveva raggiungere un posto, studiava il Tuttocittà e per arrivare arrivava. Per tornare indietro invece chiamava un tassì, gli dava l’indirizzo di casa e gli diceva: “Lei vada, io la seguo in auto”.
Uno non credeva mai a niente se prima non aveva controllato su Wikipedia.
Quello più diverso è questo qua:
Uno si era innamorato di una ballerina della Scala che si chiamava Silvana F.
L’aveva conosciuta in una casa di appuntamenti clandestina che cominciò a frequentare assiduamente chiedendo sempre di lei, che invece era sfuggente e non lo corrispondeva.
Si era proprio innamorato e non gli era capitato mai: non mangiava, non dormiva, faticava a rispettare i suoi impegni al Corriere della Sera dove lavorava come giornalista. In compenso camminava giorno e notte per le strade di Milano, nei suoi abiti eleganti e con il cappello, in Brera e per via San Marco, dove Silvana F. abitava e dove lui sperava di vederla, anche con un altro uomo.
Iniziò a dipingerla, perché lui era un pittore con l’hobby della scrittura; e dopo averla dipinta scrisse anche di lei, del suo amore, della sua ossessione e del male che ne usciva.
Quando il romanzo fu pubblicato, nel 1963, tutti lo derisero perché non si aspettavano che lui fosse capace di tanta passione e perché libri di Liala ce ne erano già a sufficienza in giro. Silvana F. non lo volle neanche dopo questo libro e gli preferì un elettricista.
Infine lui sposò un’altra, una donna di trentacinque anni più giovane che a tutti sembrò un ripiego. Almerina, che era bellissima e allegra e piena di vita, andò ad abitare con lui nell’appartamento al decimo piano della Casa della Fontana, in viale Vittorio Veneto, dove il soffitto del salotto era interamente occupato da quadri fissati con zanche.
“Così posso guardarli da sdraiato” diceva lui. Diceva anche che Milano sarebbe stata perfetta se ci fossero state le montagne, che l’unica cosa che poteva assomigliare alle sue montagne era il Duomo con le guglie e i pinnacoli.
Si ammalò pochi anni dopo le nozze. La settimana prima della sua morte, la moglie pensò di chiedere a Silvana F. di andarlo a trovare in ospedale; la accompagnò e li lascò soli.
La sera, Almerina gli chiese se si fosse innamorato nuovamente di Silvana F. in punto di morte.
Lui le rispose: “Mi sono innamorato molto più di te in punto di vita”.
[Il Repertorio dei matti della città di Bologna è stato scritto da Giorgio Busi Rizzi, Alba Ciarleglio, Milvia Comastri, Cinzia Dezi, Paola Falossi, Angelo Fioritti, Irene Forti, Rossella Hakim, Chiara Lambertini, Enrico Losso, Alessandro Massacesi, Elisabetta Mongardi, Mauro Orletti, Davide Paganini, Alfonso Posillipo, Paolo Ricci, Graziano Santoro, Morena Sartori, Chiara Spaziani, Laura Ventura, il Repertorio dei matti della città di Milano è stato scritto da Domenico Arenella, Antonella Bavetta, Arianna Brunello, Elvis Crotti, Sissi Decorato, Valentina Doria, Francesca Giannone, Marenza Gigante, Gianni La Rocca, Grazia Lodigiani, Giulia Marani, Sara Merighi, Jacopo Narros, Anna Pavone, Tiziana Regine, Marianna Russo, Daniela Segalina, Lisa Vozza, Silvia Zamperini]
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