I ladri
E a me, questa cosa, faceva pensare a mondo dove c’erano, non so, la domenica mattina in tutte le case si veniva svegliati dal rumore delle lucidatrici, dove c’erano i bicchieri infrangibili, i telefoni a gettone, dove i maschi andavano al bar, e costituivano la famosa clientela dei bar, dove i barbieri si chiamavan barbieri, e le pettinatrici pettinatrici, dove la domenica se suonava qualcuno al campanello di casa era probabile che fosse uno che ti veniva a vendere l’Unità, a domicilio, e tu la compravi non perché ti interessasse l’Unità, ma perché ti sembrava bello quel gesto lì, di andare in giro a vendere un giornale senza guadagnarci niente, dove la scuola dell’obbligo finiva alle medie, e alle superiori tutti si erano sentiti dire la celebre frase Questa non è più la scuola dell’obbligo, dove il lavoro in genere veniva pagato, dove la gente era talmente disperata che qualcuno si metteva a collezionare delle bottiglie mignon di liquori, e ne aveva tantissime, dove le partite di calcio cominciavano tutte lo stesso giorno alla stessa ora, dove fuori dallo stadio vendevano i ceci caldi, d’inverno, dentro dei cartocci di carta unta e gialla a pallini neri, e uno spruzzo di sale, sopra, dove una cubista era una pittrice con delle nostalgie dei primi del secolo, dove i pediatri consigliavano il latte in polvere perché era il progresso, dove quando era comparso il fax era sembrata la fine di tutti i problemi, come se non si dovesse neanche più lavorare, dove gli uomini politici erano quasi tutti avvolti in una specie di cappa grigia, e parlavano quasi tutti una lingua incomprensibile, e sembrava che dovesse andar bene così, dove c’erano i mangiadischi che andavano pile, e, per la maggior parte, chissà come mai, erano di colore arancione, dove il lucido da scarpe sembrava una cosa della quale non si sarebbe potuto assolutamente mai fare a meno, dove le donne si mettevan le calze, e prima di sedersi si passavano una mano di dietro, a mettere a posto la gonna, che non eran delle cose che andavano bene per forza.
C’era, non so, mi veniva in mente, lì a Santarcangelo, una poesia di un poeta di Santarcangelo, Raffaello Baldini, la poesia si chiamava I ladri, non l’avevo mai letta in pubblico, e non c’entrava forse niente, se non per il fatto che eravamo lì a Santarcangelo e che parlava di un mondo che mi era venuto in mente a me, che forse non c’entrava niente, però io la leggevo, una sera, lì a Santarcangelo, e faceva così:
I ladri
Bisogna pregare che non vengano, ma se vengono, è una cosa, ragazzi, i ladri in casa, non è neanche quel che rubano, è quello che lasciano, come fosse passata la tempesta, spaccano, rompono, cagano, io, da me, hanno cagato, per dispetto, davvero, nel salotto, no, se non le provi, certe cose bisogna provarle, non me lo dimenticherò mai quel mercoledì sera, è stato alla fine di maggio, ho capito subito, quando ho girato al roccolo, che ho visto la luce accesa in una camera e la porta accostata che dondolava, mi sono fermato lì appoggiato al muro come se m’avessero inchiodato, non m’arrischiavo a entrare, se c’erano ancora? ho aspettato un bel pezzo, poi per fortuna è venuto su Cornelio, ha visto tutto, ha capito, è voluto andare avanti lui, poi mi ha chiamato, e quel che ho trovato, è la mia casa, questa? non si capiva più niente, il finimondo, e lì, vuoi piangere? mi sono tolto la giacca, mi sono fatto all’ingresso, dal cassettone, che l’avevano svuotato, tutta la roba in giro, poi il corridoio, le camere, e sta’ buono che la Dina era fuori, a Rimini, a trovare sua sorella, ci stava anche a dormire, sono andato avanti tutta la notte, alle tre, oh, adesso ci siamo, è ancora la mia casa, e la mattina dopo, quando è arrivata, sì, avevano rotto qualche piatto, una zuppiera, due tre bicchieri, il vetro del diploma, avevano anche squartato i cuscini del divano, chi sa quel che credevano, che tenessimo i soldi ancora nella calza, alle otto era venuto Curio della Seconda a riparare la serratura, insomma, lei non s’era accorta di niente, aveva un mazzo di fiori, è andata dritto in cucina, li ha posati nel catino, ha fatto correre l’acqua, ha brontolato che avevo tenuto tutto chiuso, ha messo a posto delle cose sulla credenza, e io zitto, aspettavo il momento buono, non volevo spaventarla, ma è venuta la Morena, apriti cielo, gli strilli, le esclamazioni, che l’ho sgridata, la Dina era diventata bianca come un panno lavato, s’è toccata la collana, i braccialetti, s’è guardata attorno, è andata nella nostra camera, apriva tutto, era un carabiniere, poi nelle altre camere, contava, coperte, lenzuoli, federe, tovaglie, asciugamani, camicie, giacche, tutto, ha contato, ha ricontato, non mancava niente, s’è buttata a sedere su una sedia, seria, poi di colpo una risata: «ci volevano i ladri, quei cuscini, va là, erano andati, e cambiamo anche il divano, questo non ne può più, poi m’ha stufato, tu cosa dici?», «che hai ragione», dopo sono uscito, sono arrivato in piazza, che m’avranno fermato in cento, e la sera siamo andati a mangiar fuori, alla faccia dei ladri, ma il giorno dopo ci ho ripensato, tutto questo casino per niente? sono venuti per niente? che, figurati, quelli sono gente che la studia prima di muoversi, vanno a colpo sicuro, loro qui hanno preso, che io non lo so, ma lo sanno ben loro, ed è un po’ che, alla Dina non ho detto niente, ma quando non c’è, che esce, vado per tutta la casa, guardo, tocco, cerco di mettermi nei loro panni, dei ladri, cosa c’era qui che gli poteva piacere? e che adesso non c’è più? delle volte faccio una prova, sto con gli occhi chiusi un bel po’, poi li apro di colpo, che così, secondo me, si vede meglio se qualcosa non è al suo posto, ho in mente anche di metter giù su un quaderno, camera per camera, tutto, sino a un bottone, che non so ancora a cosa potrà servire, ma intanto, quando è tutto scritto, che poi loro, chissà, magari hanno preso una cosa che io non ci facevo nessun conto, che non sapevo nemmeno d’averla, e invece loro, per loro era un valore, solo che cercare alla cieca, ma cerco sempre, non ho pace, passano i giorni, delle volte dico: e scrivergli? se si potesse, ai ladri, ma non si può, dove gliela mandi? o se no un volantino, porca puttana, non ci avevo pensato, davvero, un volantino, di carta colorata, lo lasci in giro, quello prima o poi lo leggono, scritto bene in grande, da dirgli: quel che è successo non ne parliamo, non voglio indietro niente, adesso è roba vostra, ormai è fatta, chiuso, ma datemi soddisfazione, una domanda sola, che mi potete rispondere solo voi: cosa avete portato via? cosa m’avete rubato?
[Presente, luglio]