Gor’kij

giovedì 16 Maggio 2013

aldo buzzi

 

 

 

 

 

 

 

 

Gor’kij (Aleksej Maksimovič Peškov) era molto (troppo) apprezzato da Lenin (che non tollerava Dostoevskij) e da Stalin. Anche Gide esagerò, nel discorso che fece nella piazza Rossa ai funerali dello scrittore: «Nessuno scrittore russo è stato più universalmente ascoltato. […] Egli prende il suo posto accanto ai più grandi».

Miglior giudice fu Tolstoj: «La madre non vale nulla». Anche Čechov: «Ho letto il finale di I tre, il romanzo di Gor’kij. Qualcosa di veramente bislacco. Se non l’avesse scritto Gor’kij, nessuno starebbe a leggerlo». Era amico di Gor’kij ma vedeva con chiarezza i suoi difetti. «Ancora un consiglio» gli scrive in una lettera. «Leggendo le bozze, cancellate, dove è possibile, gli attributi e gli avverbi. Voi mettere tanti attributi che il lettore difficilmente si raccapezza, e si stanca».

Gor’kij significa l’amaro.

«È amaro!» è il grido che risuona di continuo durante i banchetti nuziali. Ordina agli sposi di baciarsi.

«Ma scusate, che è mai questo? L’aringa è amara… e il pane è amaro. Non si può mangiare! Tutti: “È amaro! È amaro!” (Gli sposi si baciano)» (Čechov)

[Aldo Buzzi, Čechov a Sondrio e altri viaggi, Milano, Mondadori 1994, p. 126-127]