Gli ingredienti

sabato 23 Giugno 2018

Ci sono dei libri che sono fatti in un modo che ti viene da chiederti di cosa son fatti. Gli ingredienti, proprio. La letteratura, di cosa è fatta?
Io per esempio me lo son chiesto quando ho letto un libro di un notaio napoletano che si chiama Salvatore De’ Matteis, una raccolta di testamenti olografi, che sono i testamenti scritti a mano, che, essendo scritti di pugno dal defunto, dopo che è defunto hanno valore legale, e vanno conservati, e questo notaio napoletano aveva accesso a una raccolta di testamenti olografia e ne ha scelti una cinquantina e ne ha ricavato un libretto che Sellerio ha pubblicato nel 1992 col titolo Essendo capace di intendere e di volere e il sottotitolo Guida al testamento narrativo.
Sono testamenti con il titolo, De Matteis per ciascuno ha scelto un titolo, e il primo si intitola Spiacente di avervi conosciuto, e fa così:
«Ho scritto questo mio testamento la notte del 23 aprile 1954 alle ore 01 cioè praticamente il giorno 24 aprile 1954 mentre ero in servizio in clinica. Credo che questa data è significativa perché coincide col mio onomastico. Per la speciale ricorrenza di cui mai una volta vi siete ricordati, ho deciso di fare io a voi un regalo: vi comunico di avervi diseredato.
Ho infatti alienato gradualmente il mio patrimonio immobiliare e donato il danaro che ne ho ricavato. Mi auguro di avere tempo e abilità sufficiente per sottrarvi ciò che resta. Nel caso tuttavia che mi sopravvivessero dei beni, ne nomino beneficiario la clinica sperando che conoscendo i nostri reciproci sentimenti, abbiate l’orgoglio e il buon gusto di non impugnare il presente testamento.
Siete dunque sul lastrico e da qualche anno vivete al di sopra delle vostre possibilità. Quando ne sarete informati, sarà tardi per ogni rimedio e avrete finalmente un buon motivo per portarmi rancore per tutto il resto della vostra vita.
Spiacente di avervi conosciuto. Mi auguro di non rivedervi mai più».
Il secondo si intitola Se morirebbe prima mia moglie, e fa così:
«Testamento di me medesimo malato lucido di mente, scritto a mano contro mia moglie Maria Cannavacciuolo maritata Bonomo Gennaro che sarei io.
Se morirebbe prima mia moglie di me sari grato a San Gennaro a ceri e fiori finacché campo. Ma lei si è sempre curata bene e schiatta di salute alla faccia mia che non ce speranza, io credo.
Approfitto della controra che stà stravaccata sopralletto per scrivere nascostamente su carta tipo igienica il mio lascito testamento di robbe poche ma stentate, col sudore della fronte per tutta una vita onesta ma sfortunata. Che se si sveglia sono mazzate.
Non avendo la infamona fatti i figli perché è arida di panza e di cuore, lascio il basso di abitazione a mio nipote Libberato figlio di mio fratello Vittorino.
A mia nipote Itala, sempre figlia di Vittorino, lascio per dote la mobilia con la biancheria di correto, l’anello mio, la catenina e il curniciello della bonanima del nonno.
Non ciò altro.
Quando sarò morto dovete cercare il mio testamento qui presente dietro all’armadio. Se non lo cercate dietro all’armadio non lo trovate, e allora è inutile che lo cercate».
Il terzo, si intitola Se no, basta il pensiero, e fa così:
«In nome di Dio che mi assiste nella verità.
Soltanto oggi, deluso e amareggiato per il comportamento disamorato di mia moglie la quale mi ha lasciato pur sapendo delle condizioni di salute in cui mi trovo, in piena facoltà e in pieno ferragosto esprimo la mia sacra volontà testamentaria mai espressa prima d’ora.
A mia moglie non lascio niente, nemmeno le impronte su questo foglio che non sono lagrime ma gocce di sudore. La legge se dispone diversamente si assume la responsabilità di contrariarmi nel giusto.
Veramente io non so che resta dopo gli scilacquamenti della predetta, ma se resta qualcosa nomino erede universale mia nipote. Se no, basta il pensiero. E così sia».
Il quarto e ultimo si intitola Secondo consiglio di Peppe, e fa così.
«Testamento lografo da me confezionato secondo consiglio legale di Peppe a’ paglietta che se ha sbagliato l’affogo dall’aldilà morto e ‘bbuono. Dice che, essendo moribondo, la mia volontà, scritta a mano con la data e la firma, vale pure cogli errori e sparambio il notaro. Perciò io mi fido e scrivo come posso.
In primis. Tutto ai miei figli e niente a mia moglie diciamola così, che mai la voletti sposare e feci bene. Madre disamorata. Chi sa dove sta.
In secundis. Leggittima a Michele figlio, leggittima a Elena figlia, leggittima a Gaetano figlio dal loro caro padre estinto qui presente che li ha riconosciuti al tribunale e li vuole bene come sanno.
In terzis. Superchio a sorema e al soprastante Peppe suo marito, con onere di cura fino a morte fatta e esequie. Se muore Peppe prima di me, che mi pare possibbile datosi che sta scassato buono per vizzi di gioventù, il superchio va tutto a sorema con onere di cura e di esequie come sopra.
In fundis. Mi arraccomando le esequie. Non facciamo le solite figure di pezzente.
Ecco. Queste, secondo me, sono quattro pagine incantevoli, quattro miniature bellissime che hanno però, in quanto pagine di letteratura, una caratteristica strana: non è letteratura, non sono state scritte per essere lette, è una forma di letteratura involontaria che è venuta così bene, secondo me, che viene da dirsi che, se uno chi scrive riuscisse a scrivere con quell’indifferenza lì, a inventarsi delle espressioni come «In piena facoltà e in pieno ferragosto», o a costruire una frase così cattiva come «Siete dunque sul lastrico e da qualche anno vivete al di sopra delle vostre possibilità», o una frase così insensata come «Se non lo cercate dietro all’armadio non lo trovate, e allora è inutile che lo cercate », ecco, io ho l’impressione che quello lì sarebbe sulla buona strana. E allora, per finire: qual è, questa strada? Di cosa sono fatti, questi quattro pezzetti memorabili? Io direi che sono fatti di due ingredienti principali, l’urgenza, e la disperazione. E la prossima settimana proveremo a ragionare su come fare per provocare, nella propria vita, urgenza e disperazione. Arrivederci.

[Uscito ieri sulla Verità]