Giornate
L’altro giorno, ero a Bologna, sull’autobus numero 21, veniva dalla stazione, direzione Filanda, e a un certo punto, all’altezza di Piazza Malpighi, una che era in piedi davanti a me, vicino all’autista, appena prima di scendere si è rivolta all’autista gli ha detto «Ti auguro una buona giornata». Che io, forse sono io che son troppo sensibile, ma io ho alzato la testa per guardarla in faccia perché secondo me, una che parla così è una che non ha una lingua. Tra tutte le espressioni che poteva scegliere, «Ciao», «Arrivederci», «Stai bene», «Ci vediamo», «A presto», «Addio», «Ad maiora», «Buone feste», «Ci sentiamo», «Ci becchiamo», «Ci si vede», «Son stato proprio contento di vederti», «Tanti auguri a te e ai tuoi cari», «Tante belle cose», «Buon Natale e felice anno nuovo», «Buon inverno», «Buona fine e buon inizio», tra tutte queste espressioni, alcune delle quali anche strampalate e improbabili, «Ti auguro una buona giornata», per me, è la più finta, la più inverosimile, la più sintetica, una specie di mistolana, una di quelle magliette che fan le scintille quando te le togli; io, devo dire, credo che mi offenderei, se qualcuno mi dicesse «Ti auguro una buona giornata», ma si vede che sono io, che son troppo sensibile, perché, quando ho alzato la testa, la faccia di quella che ha detto così non l’ho vista perché stava uscendo e mi dava le spalle, ho visto la reazione dell’autista che ha chiuso la portiera ed è ripartito come se non fosse successo niente.
[uscito ieri su Libero]