Fiori

mercoledì 23 Giugno 2010

L’incontro doveva essere nel cortile d’onore, solo che c’era il rischio che piovesse, allora l’hanno spostato al primo piano. Mentre salgo al primo piano c’è uno con la cravatta rossa e i jeans che mi chiede permesso e mi passa davanti. Molto magro, dei jeans sotto una giacca blu, e una cravatta rossa. Ho appena incontrato il mio allenatore di calcio di quando avevo nove anni, mi ha riconosciuto lui. Eran trent’anni che non lo vedevo. Nel venire in qua ho incontrato anche il direttore delle biblioteche, che pensavo mi avesse salutato allora l’ho salutato anch’io, invece non aveva salutato me, aveva salutato una signora con un completo verde giacca e pantaloni con dei fiori bianchi stampati e un trolley rosa. Nel cortile ho incontrato anche una fotografa, la vedo sempre quando vengo a Parma, le ho chiesto com’è il festival, mi ha detto che c’è meno gente degli anni scorsi, le sembra. Sto per entrare, c’è uno con una cravatta rossa e dei jeans che viene in senso opposto e dice «Scusate scusate». Mi faccio da parte lo lascio passare. Mi siedo in fondo, ultima fila, ultimo posto a sinistra e mi metto guardare la gente che entra, un signore con delle braghe gialle e un maglione rosso, un uomo con degli stivaletti a punta e delle braghe di cotone color crema con una stranissima cerniera su una gamba, all’altezza del ginocchio, e una giacca nera di lino e un maglione blu di cotone, e dietro di lui una signora con un completo verde giacca e pantaloni con dei fiori bianchi stampati e un trolley rosa che mette contro il muro. Parte una musica, un pianoforte, qualcosa di classico, non saprei dire cosa. Una bella ragazza, alta, mora, una poetessa, verrebbe da dire, entra in sala e si va a sedere di fianco a quello con la cerniera sul ginocchio. Non si parlano ma si capisce che sono insieme. Sono le 17 e 58. Il soffitto è di legno, capriate in legno, la sala sarà alta cinque metri. «Di chi è questo trolley?», si sente dire, mi volto, è uno con una cravatta rossa, una giacca blu e dei jeans che si guarda in giro con un tono di severità come se fosse il padrone. Arriva di corsa una signora con un completo verde giacca e pantaloni con dei fiori bianchi stampati. Parlottano, poi spostano il trolley rosa proprio di fianco a me, e quello con la cravatta rossa dice «Ha visto? Qui non dà fastidio a nessuno». «Ma pensa, – dice la signora coi fiori bianchi stampati, – lei ha proprio un gran senso pratico, bravo». «Cos’è il genio, – dice quello con la cravatta rossa, – se non improvvisazione e un pizzico di sregolatezza?». «Eggià», dice la signora, ma lo dice intanto che è già ripartita verso le prime file e con un tono come per dire «Ma smettila ». Entrano i relatori. Applauso.
In mezzo si va a seder Marchetti, il critico della Gazzetta di Parma, vestito di grigio, sempre uguale, è sempre uguale Marchetti, son vent’anni che lo conosco, è sempre uguale, e dice che la pioggia ci ha costretto a lasciare il cortile d’onore ma questa sala così piena di note che si sono nel corso degli anni attaccate all’intonaco delle pareti va più che bene per questa serata dedicata all’uscita del meridiano con sette romanzi di Alberto Bevilacqua. Poi Marchetti saluta Bevilacqua, «Alberto, lo chiamiamo a Parma», saluta l’assessore Sommi, il professor Bertoni, l’editore Rossini, «Cioè, – dice, – scusate, l’editore Crocetti». Risate. Due ragazzi mi chiedono se sono liberi i due posti vicino a me su uno dei quali ho messo lo zaino. Dico di sì e tolgo lo zaino.
L’assessore Sommi, in completo scuro, da matrimonio, dice che viene da un matrimonio e che sta per andare a un matrimonio, ma che non ha voluto perdere questo momento di liturgia laica. La sala è quasi piena, ci saranno duecento persone. «Liturgia laica, – dice Sommi, – perché credo che questo volume raccolga una vita». Poi dice: «Alberto mi ha dato tanto e mi dà tanto da anni». «In una società che non è mai stata liquida come in questo momento, – dice Sommi, – Alberto fa una ricerca poetica. E le parole e l’opera di Alberto saranno eternamente vive, quindi lo ringrazio, perché questo pensiero mi ha abitato dalla prima volta che ho letto Alberto». Applausi. Poi parla brevemente Bevilacqua e racconta della volta che ha incontrato Francisco Franco. Dice che nel film Questa specie di amore, da lui diretto, Ugo Tognazzi fa una profezia, che poi si è avverata. Bevilacqua ha una camicia blu, con delle righe verticali bianche, sottili. Ha un giubbino color carta da zucchero e la sua faccia, con quei due sopracciglioni che spuntano in fuori, verso l’alto. Poi dan la parola a Bertoni, il curatore. Ha molto apprezzato l’intervento dell’assessore Sommi. È molto contento di essere a questo festival, che, dice, «è tra i migliori festival di poesia non solo europei, ma internazionali». Il meridiano da lui curato, che contiene sette romanzi di Bevilacqua, si intitola Romanzi. «Non è un appunto che faccio alla Mondadori, – dice Bertoni, – però Bevilacqua detesta la parola romanzo». Mi vien da pensare che lui Bevilacqua lo chiama Bevilacqua e non Alberto perché lui non è di Parma, è di Modena. «Quest’anno, – dice Bertoni, – ho fatto un corso all’università sulla Califfa, romanzo e film, e Bevilacqua cortesemente è venuto e i miei studenti sono stati stregati, anche quelli americani, ho molti americani tra i miei studenti a Bologna». «Bevilacqua è uno straordinario scrittore di oralità, – dice Bertoni, – quindi i suoi libri non invecchiano. Sono meccanismi poematici dove c’è spazio per una scrittura della storia, per una dimensione di poetica e per una dimensione di fantasticazione». Un po’ come Guerra e pace, a pensarci. «In questo meridiano, – dice Bertoni, – ci sono quattro capolavori, Una città in amore, La califfa, Questa specie di amore e L’occhio del gatto. Poi c’è Una scandalosa giovinezza che è un altro capolavoro. Poi c’è I sensi incantati che è un successo planetario. Poi c’è anche La polvere sull’erba». I due ragazzi seduti alla mia destra mi chiedono di alzami, per cortesia, che loro devono andar via. Mi alzo e vedo una signora con un completo giacca e pantaloni giacca verde con dei fiori stampati, in seconda fila, che è stesa sullo schienale di una poltroncina in prima fila, e sta parlano a uno davanti. Ci sono delle poltroncine rosse, come a teatro. Dal mio posto, in fondo, si vede un culo verde, abbastanza grosso, con dei fiori stampati, che ondeggia leggermente a destra e a sinistra, sopra le teste di quelli in terza fila. Si alza un altro signore, davanti a me, anche lui deve andare. Bertoni intanto dice che Gianpaolo Pansa scrive malissimo. Mi fanno alzare subito ancora, un signore sui sessanta, con un maglione bianco, di cotone, e dei jeans leggeri, che si viene a sedere alla mia destra, al posto dei due ragazzi. Bertoni ha finito. Il signore di fianco a me, quello che è appena arrivato, accenna un applauso, ma riesce a dare solo un colpo. Marchetti dà la parola a Crocetti. Crocetti dice che ringrazia Giuseppe Verdi di avergli dato la parola. Risate. «Abbiamo tutti i nostri Crocetti», dice Marchetti. Risate. Crocetti dice che Alda Merini diceva «Ognuno ha la sua croce e io ho il mio Crocetti». Risate. Secondo Crocetti nella poesia di Bevilacqua domina la figura della madre: Bevilacqua ha scritto interi canzonieri sulla madre, e ha raccontato anche il coito dei suoi genitori. Crocetti ha un completo verde chiaro. Si mette a leggere delle poesie. Quel signore alla mia destra col maglione bianco e i jeans leggeri mi chiede se lo posso far passare che deve andare. Poi Crocetti chiede a Bevilacqua di dire qualcosa di sua madre. Bevilacqua comincia a parlare di Verdi e di Rossini, e delle differenze tra loro due, e dice che lui è un rossiniano. Poi dice che lui ha suggerito a Zincone l’inizio del proprio coccodrillo, il pezzo che scriveranno quando lui, Bevilacqua, Alberto, sarà morto. L’inizio è questo: «Nacque, non nocque». Poi dice che a lui gli hanno fatto il Meridiano che è ancora vivo, che è una cosa che «A voi, – cioè a noi, cioè al pubblico, – non so quanto possa fregare, a me molitssimo». Poi Bevilacqua legge questi versi: «Io cerco un ventre orgoglioso e umilato per morirci teneramente come ci sono nato». «Ecco, – dice, – in questi versi, che ho scritto quando avevo tredici anni, c’era già tutto, e avrei potuto anche fermarmi lì».