Finestra
[Mercoledì 20 gennaio, alla modo infoshop, c’è una lettura in occasione dell’uscita del quaderno della Scuola elementare di scrittura emiliana (vedi colonna qui di fianco, pubblici discorsi). Metto qua sotto uno dei compiti che sono stati dati alla scuola e la soluzione di Luca Vanzella]
Descrivete quello che si vede dalla vostra finestra il 5 ottobre 2009 alle ore 15
La vista dalla finestra del mio studio è per metà coperta dal verde. Dall’angolo in basso a sinistra fino a quello in alto a destra si vedono solo le foglie di un. Un… «Amoreeee!», «Dimmiii!», «Ma la pianta qui è una magnolia?», «Sììììì». Una magnolia. Quasi non la riconoscevo senza fiori. Ora ha dei frutti, rossi. Ma non tutti rossi. Più come gruppi di bacche rosse. Però come attaccati a un pigna. Tipo un melograno, però al contrario, però con meno chicchi, e più opachi. Mmmh. Allora. W-i-k-i-p-e-d-i-a: M-a-g-n-o-l-i-a. “I frutti ovoidali in infruttescenze conoidi, contengono dei semi lucidi rossastri o arancioni”. OK.
La vista dalla finestra del mio studio è per metà coperta dal verde. Dall’angolo in basso a sinistra fino a quello in alto a destra si vedono solo le foglie di una magnolia. Si intravedono tra i rami degli indescrivibili frutti rossi e i mattoni della casa di fronte.
Nell’altra metà di finestra, in alto, rosso anche esso, l’abbaino del palazzo dirimpetto. Le tre finestre opache sono aperte. Aperte all’insù, per alto, per il lato corto, socchiuse verticalmente. A bocca di lupo? E poi: opache? Son proprio pannelli. Mica è una casa. Sarà il vano dell’ascensore? Ma ha solo tre piani… Un ripostiglio?
«Stellinaaaa, vieni qua un attimo? Poi giuro non ti disturbo più! Quella cosa lì rossa sul tetto come la chiami? Un abbaino?», «Ma no, è un attico», «Con le finestre così? Non ci può vivere nessuno», «Non è che uno deve viverci, tutte le cose che spuntano dai tetti si chiamano attici, beh più o meno, hai capito che intendo». ‘Nsomma. Rimango perplesso e lui mi da un bacio. Guarda sempre fuori prima di darmi un bacio perché siamo due maschi e ha paura di dare scandalo. Non ho mai capito questo scrupolo, perché uno per vedere qui dentro deve fare i salti mortali: prima di tutto c’è la magnolia e poi c’è una strada tra noi e l’altro palazzo, e comunque siamo al secondo piano. Delle sei finestre che guardano qua tre son sempre chiuse, una è quella di un bagno ed è tutta smerigliata, che semmai dovrebbero essere i vicini a preoccuparsi di farci vedere le loro silhouette; e le altre due, al terzo piano, ecco magari da quelle ci vedono ma anche amen.
«Senti, ti faccio tutte le domande adesso così poi torni a fare quello che facevi. Che facevi?» «Mettevo un po’ a posto in cucina», «Poi fai un caffè?», «Dai dimmi», «Allora, vedi che il terzo piano è con l’intonaco giallo, poi sotto il secondo è a mattoni, la riga bianca in mezzo come la chiami?», «Oggesù… sarà una cornice, non lo so», «E quella riga di mattoni in verticale? pensavo di chiamare quella cornice», «Guarda che mica tutto c’ha un nome preciso», «No?», «Vado a fare il caffè», «Ok, ok, un’ultima cosa: la luce sulla strada quella che ha i tiranti che partono da qua e vanno all’altro palazzo come la chiameresti? un lampione? ma i lampioni non spuntano per forza da terra?» «Quanto zucchero?» «Uno grazie».
Quando torna coi caffè in mano mi trova fermo a fissare diritto. Sto guardando il cactus appoggiato sul balcone e penso a come spiegare la disposizione delle spine che sono come due spirali che partono dalla cime e scendono in senso… Vabbé, ci sarà una parola sicuro. Ma non chiedo niente. Anche lui si mette a guardare fuori mentre beviamo il caffè. Passa una macchina e un motorino. Un piccione si siede sul tetto. Dalla finestra smerigliata del bagno sbuca un ragazza, ci guarda e appoggia una ciabatta sul balcone, una sola.
(Luca Vanzella)