Ezio Mauro e la rivoluzione russa
Sono arrivato a Torino, per la trentesima edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino, venerdì pomeriggio, ma non sono andato al Lingotto, dove c’era il salone, sono andato prima in albergo e poi al cimitero.
Ero curioso, di questa trentesima edizione del salone del libro di Torino, perché era un’edizione che per un po’ era stata in dubbio; si era proposta Milano, per fare la trentesima edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino, che sarebbe stata una cosa demente e interessante, come tutte le cose dementi, probabilmente. Invece poi quelli di Torino, ai quali probabilmente non piacciono le cose dementi come piacciono a me, han detto che era meglio se continuavano a farlo a Torino, il Salone Internazionale del Libro di Torino, e hanno invitato anche me e io son venuto e ero curioso (ero andato anche a Milano, devo dire, a Milano Rho, dove avevan fatto il primo salone del libro di Milano Rho, e mi era piaciuto anche quello, molto tranquillo).
In albergo ho trovato la borsa di tela con sopra il disegno che Gipi ha fatto per questa edizione del salone, quella borsa che poi, quando la porti in giro per il salone, c’è sempre qualcuno che ti chiede dove le vendono e tu gli rispondi che non lo sai.
Ho fatto una doccia, sono andato avanti venti minuti con una cosa che stavo scrivendo e era già ora di andare al cimitero.
Al cimitero dovevo leggere la Donna di picche di Puškin, che è un racconto che molti chiamano Dama di picche ma si sbagliano. Una cosa singolare, di questo racconto straordinario, è che è stato scritto nel 1833, quando la letteratura russa moderna praticamente non esisteva, tanto che dentro il racconto c’è un’anziana contessa che chiede a suo nipote di portarle dei romanzi, solo non di quelli moderni, cioè dei romanzi dove i figli non uccidano i padri e dove non ci siano dei morti affogati «Ho una gran paura dei morti affogati», dice la contessa, e il nipote le chiede «Vuole dei romanzi russi?», «Esistono dei romanzi russi? – chiede la contessa, – Portameli!».
Dopo La donna di picche son tornato in albergo perché dovevo lavorare, io ho questa cosa che in qualsiasi momento, in qualsiasi posto io sia, devo sempre lavorare, chissà perché, forse perché, se lavoro, poi sono contento, se mi diverto invece no; a me divertirmi, non so come mai, non mi piace, pazienza.
Sabato mattina mi sono svegliato presto che ero così contento, che venerdì sera avevo lavorato, e sono partito alle nove meno un quarto dall’albergo, sono andato a prender la metropolitana, fermata Vinzaglio, e di fronte all’ingresso della metropolitana c’era un fontanella pubblica verde che funzionava, e l’acqua era così trasparente, e la fontanella era di un verde così brillante, e la metropolitana così pulita, e ero così di buonumore, mi sembrava di essere in un’operetta austriaca, poi son montato sulla metropolitana e mi son chiesto dov’era il caricatore del mio cellulare, che io, in qualsiasi posto sia, quando vado in giro per il mondo c’è sempre un momento che penso di aver lasciato da qualche parte il caricatore del cellulare, e ho controllato, e era nella borsa, e andava tutto benissimo, e sono arrivato ai cancelli del salone alle nove meno cinque che stavo benissimo e ho scoperto che il salone apriva alle dieci; come i pensionati. Come i pensionati che aspettano l’apertura dei supermercati. E non ero l’unico, c’era già una fila di un centinaio di persone che hanno aspettato lì un’ora sotto un sole da operetta austrica io invece sono entrato, mi han fatto entrare dall’entrata dei professionali e ero l’unico, dentro il lingotto, o quasi, c’erano tutti gli stand ancora imballati, e mi sono seduto su una panchina e ho aperto il programma mi sono segnato le cose che avrei voluto vedere e c’erano diverse cose interessanti e tra tutte la più interessante, devo dire, era l’incontro alle 15 in sala rossa con Ezio Mauro che si intitolava «Ezio Mauro racconta la Rivoluzione d’ottobre»; che sono due entità, Ezio Mauro e la Rivoluzione d’ottobre, che io, sarò io che ho poca fantasia, ma non le vedo molto compatibili, Ezio Mauro con le sue camice con quei colori lì da Ezio Mauro e la rivoluzione d’ottobre.
E poi niente, io mi son messo a scrivere, sono arrivate le dieci, è cominciata a arrivare la gente, una signora si è fermata davanti a me mi ha detto «Scusi, quella borsa lì dove si compera?», «Non lo so», le ho risposto io, e poi alla fine Ezio Mauro non lo so cos’ha detto, perché questo pezzo, alla fine, io ho finito di scriverlo alle 10 e 58, perché poi dovevo andare a leggere e sentir delle cose, non avrei avuto tempo di scrivere, e di quello che è successo in fiera non ho potuto scrivere niente, che non sarà bello ma è la verità, e mi viene in mente, a proposito di rivoluzione russa, che al primo congresso degli scrittori sovietici (1935), dicono che gli scrittori sovietici abbiano chiesto a Stalin come bisognava scrivere, e che Stalin abbia risposto «Scrivete la verità». E io, chi sono io per disobbedire?
[Uscito ieri sulla Verità]